Ding Zui è l'ultima moda diffusasi tra le élite cinesi. Una parola composta originata nelle strade dei quartieri bassi delle grigie periferie di Pechino, Shangai o Hangzhou. «Ding» significa sostituto e «zui» criminale. In altre parole, per tutti quei super ricchi che non vogliono finire in carcere è possibile «affittare un sosia» disposto ad andare in prigione al posto loro. Secondo la rivista americana Slate le tariffe sono di 31 dollari (circa 25 euro) per ogni notte passata in cella o 8.000 dollari (circa 6.458 euro) per tre anni di carcere; spiccioli in un paese dove l'1 per cento della popolazione controlla il 50 per cento della ricchezza.
Sapere quanto la pratica sia effettivamente diffusa è difficile perché i casi di maggior successo sono quelli in cui nessuno si accorge di nulla, tuttavia in un'intervista anonima a Slate un ufficiale cinese ha confermato che «la pratica non è comune ma neanche rara». Sfortunatamente per i ricconi capita anche che i «sosia» non siano sempre tali e quali ai condannati e che la gente ogni tanto si faccia domande.
È successo a Hu Bin, 20 anni, che nel maggio 2009 mentre guidava ubriaco la sua Mitsubishi rossa per le vie di Hangzhou, la terza città cinese, ha investito il 25enne Tan Zhuo, un elettricista che spensierato si aggirava in cerca di un ristorante. L'urto ha catapultato il corpo a più di venti metri dal cruscotto e mentre Bin aspettava l'arrivo della polizia, le immagini dei suoi amici ricchi e spacconi che fumavano e ridacchiavano vicino al corpo hanno fatto il giro della blogosfera cinese.
«Vediamo come i soldi dei genitori risolveranno la situazione del caro figliolo», ha scritto ironico un blogger provocando 14 mila commenti in meno di due giorni. Ma le aspettative di giustizia non sono state soddisfatte: Bin è stato condannato a soli tre anni di carcere, quando crimini di quel genere possono essere punti addirittura con la morte. Non solo: davanti al tribunale, Hu Bin appariva stranamente più giovane, più in carne e soprattutto senza la lunga cicatrice sul gomito così visibile nelle foto fatte dalla polizia e apparse poi sul Web.
È cominciata così a circolare la voce che in carcere fosse finito un sosia, uno ding zui pagato appunto per prendere il posto di Bin mentre questo continuava a girare spensierato in libertà. La città ha risposto con numerose proteste e anche gli studenti dell'università locale si sono attivati per chiedere alle autorità di fare chiarezza. Sotto pressione la polizia ha dovuto ammettere che la velocità della Mitsubishi di Bin, stimata originariamente a 43 miglia orarie, era invece il doppio. Poca cosa comunque visto che nel giro di qualche settimana è stato tutto messo a tacere.
Il caso Bin comunque non è isolato: basta pensare che la frase «mio padre è Li Gang» è diventata negli ultimi anni un eufemismo per dire «voglio farlo anche se non posso». Il copyright è di Li Qiming, un altro figlio delle ricche élite, che il 16 ottobre 2010 nella città di Boading, Cina del nord, ha investito due ragazze che tranquillamente pattinavano uccidendone una. Fermato dalla polizia ha urlato: «Non potete arrestarmi, sono il figlio di Li Gang», riferendosi al potente capo della polizia distrettuale.
La conclusione giudiziaria dell'affaire Li Qiming è sepolta sotto un velo di silenzio, ma di nuovo l'impaziente blogosfera cinese, sempre più spesso unica fonte di informazione dettagliata, ha sentito odore di truffa e ha denunciato «l'ipotesi ding zui» dato che Li Qiming negli atti processuali è stato indicato anche come Li Yifan. «Perché due nomi diversi?», ha chiesto un blogger denunciando la crescente e sempre più insopportabile corruzione delle élite. Anche in questo caso la verità molto probabilmente non verrà fuori, ma una cosa è chiara: con i soldi, e senza vera democrazia si può fare davvero di tutto. Almeno fin quando i Tan Zhuo di turno non faranno qualcosa.
di Alberto Mucci
Sono 1.020.000 i milionari cinesi censiti dallo «Hurun report»: in aumento del 6,3% sul 2011
Sono i dollari pagati al sosia di Hu Bin per trascorrere tre anni in carcere al posto suo
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