A due giorni dalle Elezioni Europee, quasi tutti i Media appaiono ancora presi dal commentare, dissezionare e sviscerare risultati che appaiono ogni ora di più come meri ludi cartacei; una sorta di illusorio esercizio della “sovranità popolare” per un popolo, quello europeo, che di fatto non esiste, e per il Parlamento di un’Unione che, al di là della moneta – il sempre più odiato e contestato Euro – è solo una sigla, un’illusione. O se si vuole, un vecchio sogno mai incarnatosi nella realtà; tradito da burocrazie ottuse e dai giochi di potere di banchieri e loro accoliti politici... Comunque, se questo è lo scenario qui da noi, in Europa Occidentale, qualcosa, anzi molto più di qualcosa si sta muovendo ai nostri, diciamo così, “confini orientali”; per dirla con i poeti russi del secolo XIX, "là dove il bosco europeo incontra la steppa asiatica".
Là, infatti, sta nascendo una nuova Unione, che prenderà, presto, il nome di Unione Economica Eurasiatica, e che ad oggi appare come una Comunità Economica costituita da tre paesi, Russia, Kazakhstan e Bielorussia. Tutti e tre, si potrebbe notare, prodotti dall’implosione del vecchio Impero Sovietico; eppure sarebbe fuorviante pensare che quello che sta maturando possa essere una sorta di ricostruzione dell’URSS sotto altre forme. Questa Comunità Economica Eurasiatica – di cui verranno firmati i trattati costitutivi proprio questo 29 maggio, nel pieno dell’Economic Forum di Astana, la capitale della Repubblica del Kazakhstan – ha infatti in sé le potenzialità per risultare un polo di attrazione non solo per gli “sparsi frammenti” dell’ex impero russo-sovietico, ma anche per molte realtà che mai ne fecero parte. Tanto che a questa CEEA guardano con interesse non solo repubbliche come quella armena – da sempre vicina a Mosca – o come il Kirghizistan, l’Uzbekistan e le altre di quell’Asia Centrale di cui il Kazakhstan rappresenta ormai "pivot d’area" – ovvero il centro degli equilibri regionali – ma anche realtà lontane, come la Serbia, nuova potenza economica emergente dei Balcani, e persino la stessa Turchia. Realtà per troppo tempo tenute fuori dalla porta dei "salotti buoni" di Bruxelles, dove, invece, in base a logiche distorte e ad occhiuti interessi di camarille politico/finanziarie, venivano fatte entrare “potenze” del calibro di Cipro (sic!).
E non si deve, soprattutto, pensare che questa sia l’ennesima “mossa furba” di Vladimir Putin, impegnato in un nuovo Grande Gioco a scacchi con la Casa Bianca. L’Unione Eurasiatica viene, in realtà, molto più da lontano; da un’idea del presidente kazako Nursultan Nazarbayev, che già all’indomani dell’indipendenza da Mosca – e dell’immediato fallimento della Comunità di Stati Indipendenti, effimera invenzione dell’era Eltsin – cominciò a parlare e a proporre una nuova integrazione economica fra i paesi dell’Eurasia. Un’integrazione che permettesse di superare il vuoto lasciato dall’URSS, integrare e modernizzare le strutture economiche e tecniche, favorire lo sviluppo di una nuova “area di prosperità”. Idea che cominciò a trovare risonanza al Cremlino con l’avvento di Putin, dando così avvio ad un processo di integrazione di cui, in queste prossime ore, vedremo uno dei momenti fondativi. Un processo che, per altro, già dal 2010, ha visto la creazione di una Unione Doganale fra i tre paesi membri, che permette la libera circolazione di merci capitali e persone. A questa è seguito a ruota un Trattato di Libero Scambio, e oggi quella, finalmente, di un Mercato Unico, che per molti versi sembra calcare le orme del nostro vecchio MEC.
In effetti, sotto molti punti di vista, la nuova CEEA sembra seguire la strada della nostra Unione Europea, con alcune sostanziali differenze. In primo luogo i nuovi accordi prevedono che la creazione del mercato unico porti con sé uno stretto coordinamento delle politiche economiche dei paesi membri, diretto a costruire una progressiva integrazione. Senza, però, poi commettere l’errore esiziale della nostra Ue: il balzo ad una moneta unica senza strutture politiche e finanziarie atte a reggerne l’impatto. I futuri Trattati di Astana infatti prevedono una progressiva integrazione dei sistemi fiscali e bancari; e soprattutto uno stretto coordinamento delle politiche economiche, un’integrazione delle strutture tecniche – ad esempio il grande progetto di una rete ferroviaria che vada dalla Cina sino all’Europa Occidentale –; solo a questo punto arriverà anche lì una moneta unica. Che non dovrebbe, quindi, recare in sé la malattia che ha portato l’Euro, ovvero la debolezza di una moneta priva di sostegno politico e di fatto proprietà di banche e speculatori finanziari privati.
Dunque, questa nuova Unione Eurasiatica potrebbe facilmente diventare, in breve, una nuova grande realtà sugli scenari internazionali, prendendo il posto di quella "nostra", di quella UE il cui fallimento politico, prima ancora che economico, è ormai sotto gli occhi di tutti.
E così l’Asse del Mondo si sposterà sempre più ad Oriente, dove già giganteggia il Colosso Cinese. Rendendo il nostro Vecchio Continente sempre più marginale ed ininfluente.* Andrea Marcigliano, senior fellow del Think tank "Il Nodo di Gordio"
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