Alberto Alesina e Francesco Giavazzi ieri sul Corriere della Sera sono tornati su un loro cavallo da battaglia: sostenere fieramente che il liberismo «è di sinistra». E hanno aggiunto una postilla: anche la riduzione delle imposte è di sinistra. Non mi è ancora del tutto chiaro se loro ci credano veramente o se siano solo dei grandi paraventi. Probabilmente un misto delle due cose. C'è sicuramente della buona fede. Come tutti i professori universitari il loro collegamento con la realtà è pari a quello della Fornero con gli esodati: cioè esiste solo ex post. A ciò si aggiunga che i loro meriti scientifici li hanno spinti all'estero e la loro conoscenza delle nostre cose è ancora di più filtrata da un oceano di pregiudizi. L'elemento di opportunismo risiede invece nel fatto che nel mondo ci sono poche cose che si possano mettere in discussione: il riscaldamento del pianeta, la prevaricazione maschile e il progressismo della sinistra. Un intellettuale che si rispetti non può che assecondarle tutte e convintamente.
Qui non si sostiene che il liberismo è di destra. Ma si sostiene che tutto ciò che combatte è di sinistra: tassazione elevata e burocrazia kafkiana non nascono per caso, ma per alimentare il welfare state socialista. Riguardo la battaglia liberale contro ordini e corporazioni che tanto stanno a cuore ai Gialesina, è proprio alla base delle ricerche universitarie di Milton Friedman. Che possiamo definire di sinistra quanto credere che Babbo Natale arriva a Ferragosto. Antonio Martino, con Sergio Ricossa e la scuola liberista italiana, ha detto che «il liberale è conservatore quando c'è qualche diritto da conservare, reazionario quando si devono riscoprire vecchie virtù, riformista quando si devono cancellare soprusi pubblici, progressista sempre». Nel senso che guarda al futuro senza sapere che cosa esattamente accadrà: per questo fondamentalmente il liberale non è ideologico. Supera il concetto di destra e sinistra, anche se con più frequenza si è dovuto contrapporre alle ricette socialdemocratiche. Sempre Martino, in Milton Friedman. Una biografia intellettuale (Ibl Libri) scrive: «Il monetarismo costituisce semplicemente un'ipotesi scientifica, uno strumento tecnico che può servire e serve benissimo qualsiasi padrone». Non tutti i liberali lo condividono, come a esempio gli austriaci. «Del resto la filosofia politica liberale non dipende certo dalla validità della teoria quantitativa della moneta, né la conferma empirica delle conclusioni di quest'ultima rappresenta prova della superiorità del liberalismo». La teoria monetarista, scrive Friedman, «non ha contenuto ideologico».
Insomma, Martino, Friedman, Hayek, la Mont Pelerin Society e tanti liberisti in giro per il mondo non hanno mai voluto attribuire a se stessi un tratto ideologico. Persino sulle proprie scoperte più affascinanti hanno sempre coltivato il dubbio e praticato la ricerca e mai avrebbero pensato che qualcuno li potesse definire di sinistra.
Hanno infatti elaborato le loro idee proprio al culmine del successo delle prassi socialiste, e forse per questo sono stati definiti conservatori o di destra. Riduttivo, per un liberale. Ma certamente, almeno più coerente che definirli di sinistra.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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