Quella prima pagella, alle elementari, non la scorderò mai. Non perché i voti fossero tanto brutti o tanto belli, ma perché in prima pagina, in calligrafia arzigogolata, c'era scritto: «Giordano Bruno Guerri, figlio di Gina Guerri e di N.N.»: cioè di nessuno. Figlio di padre ignoto. Invece io il babbo ce l'avevo, eccome, e tornava a casa tutte le sere, e mi copriva di coccole e mi voleva bene. Solo che in quegli anni - parlo dei metà Cinquanta - il diritto di famiglia era crudelissimo, spietato.
Mio padre aveva avuto un matrimonio, di divorzio neanche a parlarne, ed esisteva una tremenda legge sul concubinaggio per cui se avesse riconosciuto un figlio convivente e nato fuori dal matrimonio sarebbe finito in galera, come un delinquente qualsiasi. Ora, a mezzo secolo di distanza, non farò del colore lacrimoso sulla mia umiliazione e i miei tormenti di bambino, su come la faccenda dell'N.N. si riseppe subito in classe, su come la crudeltà degli altri bambini infierisse e su come per anni - anni, tutta la mia infanzia - io abbia aspettato le pagelle come uno schiaffo pubblico dal quale non mi potevo difendere. Neppure il mio forte, grande babbo, mi poteva difendere, perché lui non esisteva, era N.N., nessuno.
È orribile pensare a quale ferocie possano arrivare uno Stato, una società, nell'intento di difendere la moralità pubblica, il perbenismo, la famiglia-base-del-consorzio-civile: infierire su un bambino - facendolo sentire diverso e in una condizione di minorità - per quanto in famiglia gli si spieghi che non è vero, che gli si vuole bene lo stesso. Finché un bel giorno, troppi anni dopo, quello stesso Stato si accorge che si tratta di una legge sbagliata, iniqua: nel doppio significato di non equa e di infame. E la cambia. Mio padre mi potette riconoscere, dopo qualche anno, ma continuai a non poter portare il suo cognome.
Per fortuna gli Stati hanno tali e tante leggi, che insieme a quelle stravaganti e inique, ce ne sono altre che permettono di riparare in qualche modo il torto subito dal cittadino. Accadde che venne approvato il divorzio, quando io avevo poco più di vent'anni. Mio padre avrebbe potuto finalmente divorziare e darmi il suo cognome, però preferì non farlo: una buona legge dello Stato stabiliva che i «figli unici di madre nubile» erano esentati dal servizio militare. Io stavo studiando, e anche se non avessi studiato non avevo nessuna voglia di prestare servizio armato in difesa di chi mi aveva definito figlio di nessun padre. Così i miei aspettarono che fossi fuori dal pericolo della leva. E io ottenni una specie di risarcimento, dopo vent'anni, per quel'insulto che lo Stato e la scuola mi avevano rivolto ogni tre mesi, implacabili.
I miei si sposarono poco dopo il cessato pericolo, e feci il fotografo alle loro tardive nozze, in Comune. A quel punto scrivevo già libri e sui giornali. Cambiare nome per assumerne uno che mi piaceva meno sarebbe stato scomodo, ma non volevo dare un dispiacere al babbo, che sognava quel momento da quando ero nato. Dunque aggiunsi a Guerri il suo cognome, Anselmi, che compare in tutti i documenti e gli atti ufficiali, creandomi altri problemi. Ma lo porto con orgoglio, come lo porterà con orgoglio mio figlio.
Il quale Nicola Giordano Guerri Anselmi, poco più lungo del suo nome, ha avuto la fortuna di crescere in una società meno bigotta e per certi versi meno impositiva. È nato - pensate - fuori dal matrimonio, ma avrebbe potuto aggiungere ai suoi molti nomi anche quello della madre (che generosamente gliel'ha risparmiato). E nessuno gli dà fastidio o lo interroga su tutto ciò.
Il disegno di legge approvato ieri è un altro passo avanti verso una società più giusta: assicura una sostanziale equiparazione dei diritti dei figli legittimi con quelli dei figli naturali, quelli nati nel matrimonio e quelli nati «fuori».
Insomma, si è riconosciuto che sempre esseri umani sono, con gli stessi diritti di quelli certificati da un atto ufficiale. Sia data lode. È anche un altro risarcimento a quel bambino stupefatto e ferito che sono stato.www.giordanobrunoguerri.it
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