«È stata una scoperta rivoluzionaria per la scienza e per l'umanità» mi dice Giovanni Bignami, tra gli astrofisici italiani più autorevoli, Presidente dell'Istituto Nazionale di Astrofisica. Sono andato a trovarlo nel suo ufficio romano perché il prossimo 6 ottobre è il ventennale della scoperta del primo pianeta extrasolare. Ma l'oggetto del mio interesse è diventato subito lui, Bignami. Gentile, simpatico, alla mano e soprattutto più colto dei letterati italiani. La mia prima gaffe è stata regalargli il mio ultimo romanzo e dirgli «Questo è un capolavoro, non so se un astrofisico legge romanzi», e lui «Ora ti do una sberla».
Una sberla meritata: è un anglista amante di Milton e Shakespeare, membro dell'Accademia dei Lincei, ha letto gli scrittori russi in lingua originale e potete discuterci di letteratura come non fareste con Berardinelli o Cordelli (con i quali però non potreste parlare di scienza, sono tutti fermi al Medioevo). E en passant ha perfino tradotto uno strepitoso poemetto di Galileo.
«Perché la scoperta del primo esopianeta è così rivoluzionaria?». Siamo fianco a fianco nel suo splendido ufficio, lui stravaccato sulla sedia con le gambe allungate sul tavolo delle riunioni sorseggiando un tè verde, me ne offre uno avvertendomi che fa schifo.
«Tutti nei secoli hanno creduto che ci fossero pianeti negli altri sistemi solari, a cominciare da Giordano Bruno, che aveva ragione, e infatti lo hanno bruciato. Ma anche Leopardi nelle Operette morali , quando immagina che le altre stelle siano invidiose del Sole perché ha i pianeti, ma ipotizza che anche le altre stelle abbiano i pianeti. Però un conto è immaginarlo, un conto è trovarli». Immagino sia una scoperta americana, invece «gli Stati Uniti stavolta non c'entrano niente, è una scoperta epocale tutta europea, frutto del lavoro accuratissimo di due astronomi dell'Osservatorio di Ginevra, Michel Mayor e Didier Queloz».
Oggi gli esopianeti scoperti sono circa duemila, e Bignami mi spiega che siamo a un passo dal trovare un gemello della Terra. Ossia un pianeta in cui ci sia ossigeno libero nell'atmosfera, e se c'è, è molto probabile ci sia la vita. Il problema sarà arrivarci, viste le distanze incommensurabili di decine o centinaia di anni luce, e capire politicamente se ci vorremo andare, serviranno molti fondi. «Meno di quanto si spendono in armamenti, comunque».
All'improvviso, parlando di propulsioni, mi sembra di aver sentito Star Trek. «Hai detto Star Trek?». «Certo, Star Trek. Come funziona il motore di Star Trek?». «Con l'antimateria?». «Bravo, o meglio attraverso l'energia prodotta dall'annichilazione tra materia e antimateria. Tecnicamente lo si fa già al Cern» e butta giù un altro sorso del tè schifoso. «Sai che casino succederebbe» mi fa. «Cioè?». «Il Papa parlerebbe di extraterrestri, la Chiesa sarebbe in imbarazzo come quando Colombo scoprì i nativi americani, cos'erano? Preadamiti?».
A questo punto lo invito a parlarmi di canali come Focus o Discovery Channel, mischiano documentari scientifici seri a documentari di sedicenti scienziati sugli alieni. «Stiamo parlando di mitomani e cialtroni, in buona o cattiva fede. A domande sugli Ufo o sull'uomo che non è mai stato sulla Luna non rispondo più, la stupidità ti porta su un piano di dialogo ancora più stupido. Alla signora di Voghera a cui spiego il Big Bang, sforzandomi di essere semplice, e non capisce perché non si fida, alzo le braccia. Se vuole capire, studi la fisica».
Allora penso alle metafisiche in voga sulla materia oscura, vedendoci dentro chissà quale mistero, come se dentro ci fosse il Paradiso. Bignami scuote la testa. «La traduzione “materia oscura” suona misteriosa, ma in inglese è dark matter . Significa semplicemente che c'è della materia che non vediamo perché non emette fotoni, ma ne osserviamo gli effetti gravitazionali. Un sasso al buio è materia oscura, tutto qui. Non è che perché non lo vediamo non esiste o è qualcosa di magico».
Tra l'altro Bignami ha scritto splendidi saggi divulgativi editi da Mondadori (ma alla parola «divulgazione» preferisce «comunicazione»), però voglio tornare al poema di Galileo. «Non lo conosce nessuno, è una poesia che Galileo ha scritto nel 1590, quando Galileo era un ventiseienne giovane professore di fisica incazzatissimo con l'Università di Pisa perché obbligò i docenti all'utilizzo della toga, per imporre la presenza dell'università sulla città. È un componimento di trecento endecasillabi nello stile di Berni, in terzine dantesche, intitolato Contro il portare la toga ». «E perché non voleva portare la toga?». «Diceva che se uno voleva andare a puttane, la gente lo riconosceva subito e faceva: guarda il professor Galilei che va a puttane!». Intanto lo chiamano al telefono, ha altri appuntamenti, mi accompagna affettuosamente all'uscita. Mentre ci stringiamo la mano gli chiedo «Senti, ci rivediamo?». «Quando vuoi».
Insomma, mentre me ne vado mi viene da pensare non solo agli altri scrittori cimiteriali che odio ma anche ai miei parenti.
I parenti sono persone con cui non hai niente in comune ma devi sorbirteli perché sono il fratello o la sorella dei tuoi genitori, io da anni non gli rispondo neppure al telefono. Ma Bignami, anzi Nanni, come mi ha detto di chiamarlo, sarebbe uno zio veramente spaziale. Chissà se mi adotta, zio Nanni.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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