La grande firma di "Repubblica" contagiata dal virus del copia e incolla

L'inviato di lusso Rampini smascherato da una freelance inglese: "Clona articoli di giornali stranieri senza citare la fonte". Dopo Saviano, Augias e Galimberti un'altra penna rossa col solito vizietto

La grande firma di "Repubblica" contagiata dal virus del copia e incolla

Con quei capelli un po' così, quell'erre moscia un po' così che ha Federico Rampini quando ci spiega il mondo, assumiamo anche noi un'espressione un po' così nello scoprire che il biografo di Carlo De Benedetti nonché candidato alla successione di Ezio Mauro scopiazza qua e là le sue articolesse su Repubblica . Per un giornalista che conosce il mondo come lui, si tratta semplicemente di «fonti» anche se spesso si dimentica di citarle. Per un comune mortale, invece, questa mancanza di originalità è un puro taglia-traduci-copia-e-incolla non nuovo nelle colonne del giornale debenedettiano.

La castigamatti di Rampini è una brillante traduttrice freelance che collabora con il Foglio , Eunews , Rivista Studio . Marion Sarah Tuggey ha sotto mano le stesse fonti di Rampini, cioè giornali e siti americani. E ha colto quelle che all'inizio sembravano suggestioni, analogie, imbeccate, e col tempo si sono rivelate riproduzioni. Sul suo profilo twitter @masaraht ha cominciato a segnalare l'inaspettato fenomeno con precisione filologica: citazione dell'originale con il link della fonte, e citazione della copia, cioè il sito internet di Repubblica con la firma di Rampini.

Il giochino è diventato addirittura un hashtag , #Rampinomics: un neologismo modellato sulla tendenza tutta americana di definire le strategie economiche dei big Usa (Reaganomics, Obamanomics, perfino Madoffnomics), e che quindi a pieno diritto si attaglia al corrispondente da New York del giornale fondato da Eugenio Scalfari. E tuttavia esso riecheggia anche i comics , le strisce di fumetti. Una sorta di irriverentissimo «oggi le comiche».

Lo storify dell' hashtag (l'inglese è d'obbligo quando si parla di Mr Rampini) ha una premessa d'obbligo: «Se voglio leggere il New York Times , mi abbono a quello, non a Repubblica », scrive @masaraht. Sacrosanto. Chiunque abbia un account twitter può verificare. Si parte il 6 luglio scorso con un calco dal Financial Times : «Prendi, taglia il troppo tecnico, traduci (nota di colore, i trattori) ed ecco» due giorni dopo un Rampini doc, che in realtà cita lo stesso Ft e una precedente analisi del Wall Street Journal ma il pezzo è in effetti una sintesi del quotidiano britannico. Al tweet risponde addirittura l'autore dell'articolo originale, David Pilling, entusiasta perché il suo scritto ha meritato una versione in italiano e aggiunge: «A proposito, quand'è che qualcuno tradurrà in italiano il mio libro sul Giappone?».

Passa un mese e il 1° agosto Sarah Tuggey segnala che #Rampinomics colpisce ancora: stavolta la fonte è un'analisi sulla situazione argentina apparsa due giorni prima sul Nyt , non citato. Altri 30 giorni e il 9 settembre il guru di Cindia pubblica una riflessione sui «padroni del pensiero» e il «lato oscuro» dei think tank tratta da un articolo del 6 settembre uscito ancora sul Nyt . Dopo un mese « here we go again », rieccoci: la denuncia di una «gola profonda» che inchioda la Federal Reserve («Era succube di Goldman Sachs») è un copia-incolla-traduci di Propublica , un giornale online della Grande Mela specializzato nell' investigative reporting .

Ai primi di ottobre l'attività di «libero adattamento» di testi originali per la regia di Federico Rampini raggiunge l'apoteosi. È un'intervista a Vandana Shiva, l'indiana leader del movimento mondiale contro gli organismi geneticamente modificati, che era stata attaccata dal New Yorker . «Lei, a Repubblica , ribatte alle accuse una per una», titola la punta di diamante del gruppo L'Espresso . «Dalla sua casa di New Delhi mi dedica un'ora del suo tempo al telefono», puntualizza Rampini. Ma le risposte, tranne una, sono la trascrizione della lunga autodifesa pubblicata dall'eroina anti-Ogm sul sito vandanashiva.com il 26 agosto precedente.

Gli spunti presi dalla stampa statunitense si moltiplicano. Tuggey segnala il 5 ottobre un pezzo di Rampini scritto per il suo blog ispirato dalla Nikkei Asian Review . Dieci giorni dopo un reportage su Facebook e Apple che pagano le dipendenti perché congelino gli ovuli e ritardino le gravidanze è la riscrittura di una story di NbcNews . Segue quello che Tuggey definisce un mashup (i francesi direbbero collage ) tra The Verge (citato) e Washington Post (non citato) circa l'autocritica di Twitter diventato «lo sfogatoio di violenti e frustrati».

«Senza vergogna» per la traduttrice twittatrice è il racconto rampiniano del mito crollato dei centri commerciali preso pari pari dal sito del Nyt (citato). L'ultimo caso è un post sul blog «Estremo occidente» sui trattati di libero scambio: un riassunto-traduzione di un'analisi di David Ignatius, opinionista del Washington Post .

Ma che combina il divo Rampini? Preso con le mani nella marmellata il nume dai candidi capelli elettrici come un novello Einstein, il giornalista con uso di mondo (prima di New York ha lavorato a San Francisco e Pechino e ha percorso in lungo e largo l'India), il colto opinionista che nelle apparizioni televisive alterna le bretelle che fanno tanto Wall Street alle camicie con il collo alla coreana che vorrebbe lo avvicinassero a Tiziano Terzani. Rampini è il giornalista che ha svelato i misteri della Cina rampante e dell'India arrembante, il saggista che nei suoi tanti libri – la gran parte per la berlusconiana Mondadori - ha denunciato fenomeni come «il nuovo banditismo globale» («Banchieri») e «Le paure dell'America», il «volto oscuro della rivoluzione digitale» («Rete padrona») e «La trappola dell'austerity». Ma soprattutto è il cocco dell'editore Carlo De Benedetti, il suo biografo ufficiale: ha scritto il libro-intervista «Per adesso» e assieme a lui è coautore di «Centomila punture di spillo», un volume che spiega «come l'Italia può tornare a correre» secondo l'intellighenzia di Largo Fochetti.

Ed è sempre al fido Rampini che fu affidato il compito di sintetizzare una lunga intervista all'Ingegnere neo-settantenne apparsa nel novembre 2004 sul Financial Times . «La passione per l'indipendenza», titolò l'indipendentissima Repubblica l'elegia britannica del proprio editore, «grande capitalista e outsider», «l'ultimo dei condottieri». Ma in quel caso il copia-incolla dal Ft era giustificato.

Del resto, i giornalisti dell'organo debenedettiano non sono nuovi a episodi di ricalco più o meno spinto che hanno fruttato alla testata il nomignolo di «Ri-pubblica». C'è Roberto Saviano condannato in appello per plagio. C'è Corrado Augias che fece proprie intere pagine di un libro del biologo Edward O. Wilson. C'è il filosofo Umberto Galimberti, smascherato proprio dal Giornale e sanzionato dall'università Ca' Foscari di Venezia.

C'è il corrispondente da Pechino, Giampaolo Visetti, che apprezzava a tal punto il lavoro del collega Antonio Talia dell'agenzia Agi-China da assorbirlo parola per parola: scoperto dal Foglio , Visetti si giustificò dicendo che la fonte era sempre citata, ma il solito diavoletto di redazione la tagliava senza pietà. E ora lo zampino satanico se la prende con Rampini.

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