nostro inviato ad Agrigento
Sei politici in cerca di autore. Per raccontare la presunta liaison mafiosa nella casa madre del Pd agrigentino, il consigliere comunale piddino Giuseppe Arnone, concittadino di Luigi Pirandello, rispolvera l’opera del grande scrittore e drammaturgo. Il tema dell’incomunicabilità, rivisitato e corretto, è attualissimo. Perché nonostante i manifesti, i volantini, i comizi, le lettere ai giornali, le denunce ai carabinieri, adesso anche un istant-book con le carte giudiziarie sui politici democratici chiacchierati, il fustigatore del Pd siciliano confessa l’impossibilità di comunicare con i vertici romani del partito, a suo dire sordi rispetto alle risultanze giudiziarie e politicamente sconvenienti su sei politici locali così come descritti dai pentiti, dalle carte delle inchieste in corso, dalle sentenze passate in giudicato.
Il consigliere, criticato dai suoi avversari per rimostranze a dir poco plateali, nel documento parziale consegnato a febbraio alla Direzione nazionale del Pd alla Fiera di Roma e recapitato nella mani di Pier Luigi Bersani, riporta nero su bianco gli atti inediti relativi alle dichiarazioni fiume del maggior pentito agrigentino, il boss Maurizio Di Gati, e quelle dell’ex capo della squadra mobile agrigentina, Attilio Brucato, a proposito dei presunti rapporti tra Cosa nostra, Pd e Cgil su due centri commerciali vicini alle cosche. Nel Romanzo criminale agrigentino si raccolgono carte di inchieste politicamente imbarazzanti. Tutto ruota intorno ad alcune complicate frequentazioni di Angelo Capodicasa (non indagato), già presidente della Regione Sicilia (con assessore all’Agricoltura Totò Cuffaro), già viceministro alle Infrastrutture col governo Prodi, già segretario regionale dei Ds. Il filo rosso si dipana con il defunto parlamentare regionale dei Ds, Calogero Gueli, ex sindaco di Campobello di Licata, i cui comportamenti sono stati censurati gravemente dai giudici d’appello che alla fine lo mandarono assolto in una vicenda di mafia dove figurava una società del genero e del figlio (entrambi condannati per 416bis), collocati dal pentito Di Gati addirittura nel «gruppo di fuoco» del superboss della provincia agrigentina, Giuseppe Falsone. Il terzo personaggio citato nel carteggio inviato a Bersani è il senatore del Pd, Vladimiro Crisafulli, noto per le sue relazioni pericolosissime (ritenute penalmente irrilevanti dai giudici di Caltanissetta che lo hanno assolto fra le polemiche) col boss di Enna Raffaele Bevilacqua. I due vennero ripresi dai Ros a parlare fitto fitto, durante il congresso della Cgil in un hotel di Pergusa, di appalti, assunzioni e favori. Capodicasa, Crisafulli e Gueli riportano ai rapporti con l’ingegnere «rosso» Giuseppe Montalbano, figlio di un deputato Pci, proprietario dell’abitazione-covo di Riina, condannato per mafia. E ancora. I rapporti di Capodicasa con l’ex vicesindaco Ds di Villabate Antonino Fontana, condannato l'anno scorso con l’ex collega Ds Simone Castello in inchieste di mafia su Bagheria, storica enclave di Provenzano. «Fontana, grande nemico di Pio La Torre viene coinvolto e poi esce dalle indagini, nell’inchiesta sull’omicidio dell’allora segretario del Pci regionale - si legge nel memoriale - piazza la moglie come braccio destro di Capodicasa e la figlia nella segreteria di Montalbano».
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