I neo governatori leghisti: «No alla Ru486»

Il centralino della Nordic Pharma ieri non ha smesso di squillare. Le farmacie ospedaliere di tutta Italia sono a caccia di informazioni dall’azienda che distribuisce il Mifegyne, cioè la pillola abortiva. A tutti risponde Marco Durini, direttore medico dell’azienda: «Sia chiaro che noi dobbiamo verificare che la pillola arrivi solo negli ospedali. Inoltre, prima che l’ordine venga validato passano circa un paio di giorni, dopo di che la pillola viene consegnata nel giro di 48 ore, 72 per le isole».
Insomma, nonostante sia tutto pronto per far partire anche in Italia la contestatissima Ru486, nessuno potrà ricevere neppure una pasticca se non dopo Pasqua. E in attesa, divampa la polemica politica, con i governatori di Veneto e Piemonte sulle barricate.
«Studieremo le modalità per far valere un punto di vista nettamente contrario a uno strumento farmacologico che banalizza una procedura così delicata come l’aborto, che lascia sole le donne e che deresponsabilizza i più giovani», ha detto ieri Luca Zaia, presidente del Veneto.
L’aveva preceduto Roberto Cota, governatore del Veneto e capogruppo della Lega alla Camera. E le sue parole di forte contrarietà alla Ru486 («le pillole abortive potranno marcire nei magazzini») sono state elogiate ieri anche da monsignore Rino Fisichella, presidente della pontificia accademia per la Vita e cappellano di Montecitorio. E ieri Cota ha rincarato la dose. Ha chiesto ai direttori generali delle Asl di bloccare l’impiego della pillola Ru486 fino alla sua entrata in carica. Poi ha annunciato la presenza di associazioni Pro Vita in tutte le strutture sanitarie piemontesi. Infine, ha invocato precise linee guida da parte del ministero della Salute.
Che arriveranno a breve giro di posta. «Il tavolo tecnico si insedierà subito dopo Pasqua e in pochi giorni il ministero della Salute darà il suo parere definitivo», ha spiegato il sottosegretario Eugenia Roccella che nel frattempo ha spedito il parere sulla pillola abortiva del Consiglio superiore di sanità a tutte le regioni «per sapere se si conformano». L’organo tecnico, lo ricordiamo, aveva raccomandato il ricovero ordinario per le donne che intendono abortire farmacologicamente a cominciare dall’assunzione delle prima pillola. Insomma, secondo gli esperti, chi vuole espellere il feto senza entrare in sala operatoria deve rassegnarsi a starsene in ospedale almeno tre giorni a differenza di chi sceglie l’aborto chirurgico che attualmente avviene in day hospital.
Ma non tutte le regioni saranno d’accordo su questa procedura. L’Emilia-Romagna, per esempio, ha sempre rispedito a casa le donne dopo l’assunzione della pillola per riconvocarle al momento dell’espulsione. E non è detto che voglia adottare le cautele consigliate dal ministero. Si attendono comunque le risposte delle regioni. Solo il Molise ha già detto sì al ricovero. Ora anche le altre regioni si dovranno affrettare a dare il proprio responso ufficiale.
Difficile comunque una chiusura totale. Anche Cota lo ammette, a denti stretti: «Rispetterò la legge, non posso fare diversamente». Zaia invece sembra meno possibilista. E annuncia categorico: «Non daremo mai l’autorizzazione a poter acquistare e utilizzare questa pillola nei nostri ospedali».
Le posizioni dei governatori leghisti sono certamente le più dure. Da parte degli altri presidenti di Regione del centrodestra affiorano toni più sfumati. Nel Lazio, ha assicurato la neo governatrice Renata Polverini, «la pillola abortiva sarà somministrata in ospedale». Anche Stefano Caldoro, neopresidente della regione Campania è sulla stessa linea così. E Roberto Formigoni ieri non è tornato direttamente sulla vicenda, ma aveva espresso la sua opinione in passato. Il governatore fa un distinguo tra la legge 194 sull’aborto, che «va rispettata», e la Ru486 che «scarica sulla donna tutto il peso psicologico e fisico una esperienza traumatica».
Nel centrosinistra si è espresso il presidente della Regione Liguria, Claudio Burlando, secondo cui «spetta ai medici attuare quanto previsto e decidere come utilizzare la pillola abortiva». E il segretario del Pd Pier Luigi Bersani polemizza con l'ostruzionismo dei governatori leghisti.

«Dell’uso di un farmaco non decide un presidente di regione, tanto meno decide della libertà terapeutica, né può sostituirsi al rapporto tra medico e paziente. I governatori non sono imperatori». Schermaglie. Per sapere come andrà davvero a finire bisognerà attendere l’ultima parola del ministero.

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