I Piccoli Fratelli ci guardano E sono peggiori del Grande

I Piccoli Fratelli ci guardano E sono peggiori del Grande

In una delle tante pagine straordinarie dei primi due volumi del nuovo romanzo-trilogia di Murakami Haruki, 1Q84 (Einaudi, traduzione di Giorgio Amitrano, pagg. 722, euro 20), uscito da pochi giorni in Italia, si spiega con semplicità sconcertante su che cosa si fondi il sistema dell’editoria contemporanea di massa: «Si lavora come in una fabbrica dove si costruiscono sveglie. Se non ci si organizza così, la produzione in serie non può funzionare. Però, siccome nel mondo della cosiddetta “letteratura alta”, rigido com’è, questi metodi non sono ufficialmente riconosciuti... Se tutto venisse alla luce, può darsi che ne nascerebbe un piccolo scandalo. Ma non avremmo fatto niente di illegale. Al massimo ci saremo adeguati all’andazzo dei tempi. E poi qui non stiamo parlando di Balzac o Murasaki Shikibu. Noi vogliamo soltanto intervenire su un romanzo pieno di buchi scritto da una liceale, per renderlo più presentabile. Cosa c’è di male in questo? Se una volta finito lo avremo trasformato in un’opera di qualità, che molti lettori potranno apprezzare, non vedo quale sia il problema».
Senza ammorbarci con tante montature, Murakami mette in bocca al cinico editor Komatsu un bel principio di realtà. Che ci piaccia o no, le cose stanno così e Komatsu è uno dei rappresentanti del mondo così com’è. Peccato per Komatsu, e fortuna per noi, però, che il mondo così com’è sia solo uno dei tanti mondi che popolano le pagine di Murakami. Perché l’unico antidoto - «Antidoto a che cosa? Al dolore, al tradimento, alle tasse, alle ingiustizie, alla politica, alla crisi?» chiederebbe un occidentale. «A tutto ciò che appare», risponderebbe un orientale - è raccontarlo, un mondo diverso: la rivoluzione della letteratura per Murakami è proprio la possibilità che dà allo spirito di aprire una porta sull’ignoto (suo padre era pur sempre un monaco buddista).
In questa trilogia attesissima, costata tre anni di concentrazione e silenzio stampa e già considerata il suo capolavoro, pubblicata in lingua inglese meno di due settimane fa e che in Giappone ha venduto un milione di copie in un mese, Murakami ha affinato l’arte dell’invenzione di mondi fino a superare le vette distopiche di un altro maestro, George Orwell, cui si ispira con l’ambientazione - le vicende si svolgono appunto nella Tokyo del 1984 - e con il titolo (a proposito: in giapponese le parole che indicano Q e il numero 9 sono omofone, quindi il titolo è giocato su quello della più celebre opera di Orwell). Ed esiste anche qui un Grande Fratello. Solo che si è moltiplicato, come se il prisma di questo ultimo mezzo secolo lo avesse rimpicciolito e rafforzato (e in una logica orientale non poteva che essere così: l’esercizio del controllo sta alla collettività, non ad una oscura entità singola). E come se oggi, o così almeno spiega uno dei personaggi chiave di 1Q84, il fantomatico professor Ebisuno, non ci fosse più spazio per un protagonista così «appariscente»: «Come lei sa, George Orwell nel suo 1984 ha creato il personaggio di un dittatore chiamato Grande Fratello. Naturalmente si trattava di un’allegoria dello stalinismo. Da allora, l’espressione “Grande Fratello” ha finito col diventare un’icona sociale. È stato un grande merito di Orwell. Ma in questo 1984 reale, il Grande Fratello è diventato troppo famoso, una presenza troppo evidente. Se apparisse oggi, lo segneremmo a dito e grideremmo: “Attenzione! Quello è il Grande Fratello!”».
Così, in 1Q84 il Big Brother diventa infinite entità, chiamate Little People. Si tratta di creature che vengono direttamente da un romanzo nel romanzo, la Crisalide d’aria, scritto dalla liceale Fukaeri. Forse sono buoni, forse maligni e l’unico intermediario per entrare in contatto con loro è il cadavere di capra cieca attraverso cui le creature, di notte, arrivano nel nostro mondo (e quella ovina non è l’unica parentela di struttura narrativa di questo romanzo con Nel segno della pecora, pubblicato da Murakami nel 1982). I Little People «esistono veramente», come Fukaeri racconta al ghostwriter Tengo, uno dei due protagonisti di 1Q84 - l’altra è Aomame, fashion victim misteriosa, potenziale killer con rompighiaccio in borsetta e lettrice vorace di libri - impegnato a riscrivere la Crisalide d’aria per farlo ammettere a un premio letterario. E all’inizio sembrano persino gentili, questi Little People, anche se non ci si deve far udire parlare di loro. Finché non si scopre che posso annidarsi nei corpi umani. E distruggere uteri. E ovuli.
Prima di 1Q84 per far capire a un non lettore di Murakami che cos’era quella inimitabile forma di surrealtà contaminata da ogni arte in cui i suoi romanzi ci immergono, si poteva fare riferimento alle opere di registi come David Lynch. O magari Federico Fellini. Oggi non basta più.

Murakami Haruki si è spinto persino oltre le frontiere conosciute della fantarealtà di Inception di Christopher Nolan o del più tradizionale I guardiani del destino di George Nolfi, tratto non a caso da un racconto di Philip Dick. L’unica avvertenza sempre valida con questo Nobel eternamente mancato rimane quella stampata dall’editore in quarta di copertina di 1Q84: «Attenzione: crea dipendenza».

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