Nuovi sviluppi nel caso della "Enrica Lexie", la petroliera battente bandiera italiana responsabile della morte di due pescatori indiani, scambiati per pirati dagli uomini a bordo.
La polizia del Kerela, riferisce l'Hindustan Times, avrebbe tratto in arresto i due militari italiani, identificati come Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, che erano presenti sulla nave mercoledì al momento dell'incidente durante il quale due uomini disarmati sono rimasti uccisi.
L'ultimatum stabilito dalla polizia per la consegna dei due italiani è scaduto la notte scorsa. Fino a questa mattina non c'erano state particolari novità. In mattinata il commissario della polizia di Kochi ha interrogato l'equipaggio a bordo della Enrica Lexie. L'intenzione della polizia era quella di arrestare sei membri dell'equipaggio. Soltanto due sono rimasti in stato di fermo. A detta delle autorità indiane sarebbero le persone direttamente responsabili dei due morti.
La smentita del console
Diversa la versione fornita da Giampaolo Cutillo, console a Mumbai, che sottolinea come i due fucilieri coinvolti nell'uccisione dei marinai non siano ancora stati arrestati, ma si trovino "in un procedimento che potrebbe portare al loro arresto". E che "per il momento non è ancora scattato", anche se l'ipotesi è verisimile. Si è inoltre appreso che ora Massimiliano Latorre e Salvatore Girone verranno posti in custodia giudiziaria, e poi presentati nei prossimi giorni davanti alla corte per omicidio.
I due marò sono stati accompagnati a terra dal console e dal contrammiraglio Franco Favre, addetto militare in India. La polizia li interrogherà come responsabili dell'uccisione dei due uomini del St. Antony, il peschereccio dove si trovavano i due pescatori uccisi. La polizia del Kerala ha rivelato che sulla chiglia del peschereccio vi sono "almeno 16 fori di proiettile".
Secondo quanto dichiarato dalla Farnesina, comunque vadano le cose, i due militari non dovrebbero finire in carcere. Sarebbero però in condizione di non libertà.
Scontro diplomatico
La Farnesina ha commentato la situazione parlando di "atti unilaterali" da parte della polizia indiana, ribadendo la necessità di "contatti e collaborazione tra i due governi per l'accertamento dei fatti". I militari, sottolineano, godono dell'immunità in quanto organi dello Stato italiano.
Fonti vicine alla trattativa riferiscono che l'incontro tra la delegazione italiana a New Delhi e i rappresentanti del ministero degli esteri indiano "è andato male". "La situazione non è tranquillizzante", ha commentato il ministro della Giustizia Paola Severino, sottolineando che l'Italia ha "trattato tutta la notte" e che in India ci sono "persone inviate dal ministero degli Esteri, della Difesa e della Giustizia", incaricate di monitorare la situazione e tenere informato "costantemente il Presidente del Consiglio Monti". Il ministro ha poi aggiunto che i dubbi sollevati sulla giurisdizione non sussistono: "Il fatto è avvenuto in acque internazionali, su una nave che batte bandiera italiana, quindi la giurisdizione è italiana".
Le regole di ingaggio
Umberto Leanza, esperto di diritto internazionale e consulente del ministero degli Esteri nel contenzioso diplomatico con l'India, commenta quanto accaduto, ricostruendo gli avvenimenti.
I militari italiani, dice, avrebbero prima sparato segnali luminosi in aria, poi sparato davanti alla linea di prua dell'imbarcazione indiana, per chiedere che interrompessero la rotta di avvicinamento alla petroliera. Avrebbero in sostanza seguito le regole di ingaggio previste in circostanze del genere.
Leanza sottolinea come, dalle fotografie scattate dai marò, sia chiaro che a bordo dell'imbarcazione indiana c'erano uomini armati.Secondo l'esperto l'unico errore sarebbe stato del comandante, che non avrebbe dovuto accettare la richiesta delle autorità indiane, che hanno fatto entrare l'imbarcazione nel porto di Kochi.
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