Opportunismo e paura sono i sentimenti prevalenti nel mondo dell'arte. Il caso delle statue coperte ai Musei Capitolini per la visita dell'iraniano Rohani non è l'episodio più grave, poiché almeno è stato temporaneo (anche se il mondo intero ne ha riso). Molto peggio quel che è accaduto al Rjiksmuseum di Amsterdam un tempo città sinonimo di libertà - dove la direzione ha deciso di cambiare nome a un centinaio di quadri che contengono parole discriminatorie.
Robert Hughes, l'autore de La cultura del piagnisteo (Adelphi), rabbrividiva pensando a quando nelle università americane non si sarebbe più utilizzato il termine «chairman» per non offendere le donne, ma cosa avrebbe detto di fronte a una Ragazza negra questo il titolo originale di un'opera di Simon Maris del 1900 - trasformato in Ragazza col ventaglio? E davanti a spiegazioni come questa: «Finora abbiamo trovato 132 opere la cui descrizione contiene la parola negro - ha detto al New York Times Martine Gosselink, direttrice del dipartimento di storia del Rijkmuseum - e cambiare quelle è stato facile. Ma è più difficile con parole come ottentotti: è usato per indicare il popolo Khoi del Sudafrica, ma in olandese significa balbuziente». L'arte, di questi tempi, ben si guarda dal toccare la questione islamica, un sentimento motivato dalla paura, ma allo stesso tempo si preoccupa di non offendere le donne, gli omosessuali, le minoranze etniche: e così facendo ne sottolinea ulteriormente la condizione di debolezza.
Oggi non sarebbe più possibile a un performer come Gino De Dominicis proporre, alla Biennale di Venezia, un'opera come Seconda soluzione d'immortalità, che nel 1972 provocò scandalo. L'artista aveva scelto di esibire un down reale in mezzo a quadri e sculture.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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