È il più clamoroso errore giudiziario del dopoguerra. Ora il ministero dell’Economia ha deciso di staccare l’assegno più alto mai dato a un innocente per risarcirlo: 4 milioni e 500mila euro. Circa nove miliardi di lire, a fronte di 15 anni, 2 mesi e 22 giorni trascorsi in carcere per un duplice omicidio mai commesso.
Il caso di Domenico Morrone, pescatore tarantino, si chiude qua: con una transazione insolitamente veloce nei tempi e soft nei modi. Il ministero dell’Economia ha capitolato quasi subito, riconoscendo il dramma spaventoso vissuto dall’uomo che oggi a 43 anni può tentare di rifarsi una vita.
Così, per il tramite dell’avvocatura dello Stato, Morrone si è rapidamente accordato con il ministero e la corte d’appello di Lecce ha registrato come un notaio il «contratto». In pratica, Morrone prenderà 300mila euro per ogni anno di carcere. E i soldi arriveranno subito: non si ripeteranno le esasperanti manovre dilatorie già viste in situazioni analoghe, per esempio nelle vertenza aperta da Daniele Barillà, rimasto in cella più di 7 anni come trafficante di droga per uno sfortunato scambio di auto.
Morrone fu arrestato mezz’ora dopo la mattanza, il 30 gennaio ’91. Sul terreno c’erano i corpi di due giovani e le forze dell’ordine di Taranto cercavano un colpevole a tutti i costi. La madre di una delle vittime indirizzò i sospetti su di lui. Lo presero e lo condannarono. Le persone che lo scagionavano furono condannate per falsa testimonianza. Nel ’96 alcuni pentiti svelarono la vera trama del massacro: i due ragazzi erano stati eliminati perché avevano osato scippare la madre di un boss. Morrone non c’entrava, ma ci sono voluti altri dieci anni per ottenere giustizia. E ora arriva anche l’indennizzo per le sofferenze subite: «Avevo 26 anni quando mi ammanettarono - racconta lui al Giornale - adesso ne ho 43 ed è difficile ricominciare. Ma sono soddisfatto perché lo Stato ha capito le mie sofferenze, le umiliazioni subite, tutto quello che ho passato». Un procedimento controverso: due volte la Cassazione annullò la sentenza di condanna della corte d’assise d’appello, ma alla fine Morrone fu schiacciato da una pena definitiva a 21 anni. Non solo: beffa nella beffa, fu anche processato e condannato a 1 anno e 8 mesi per calunnia. La sua colpa? Se l’era presa con i magistrati che avevano trascurato i verbali dei pentiti.
Ora, finalmente, la giustizia si mostra comprensiva con chi è stato vittima di un errore così grave: la corte d’appello di Lecce nota anzitutto che l’Avvocatura dello Stato «non si oppone alla liquidazione» della cifra. La scorsa estate Morrone aveva chiesto allo Stato un risarcimento di 12 milioni di euro; il tempo di condurre una rapida trattativa e il ministero si è detto disponibile a chiudere la pratica a quota 4, 5 milioni di euro. Senza opposizioni e contestazioni. La somma totale di 4,5 milioni è così ripartita: 1 milione e 300mila euro per la privazione della libertà; 1 milione e 700mila euro per i danni non patrimoniali; 1 milione per il danno patrimoniale da mancato guadagno; 500mila euro per le spese legali e per gli onorari del difensore. Un record per l’Italia. E anche un primato di velocità.
Ma non finisce qui. Morrone vuole presentare il conto anche ai magistrati che hanno sbagliato e per questo ricorrerà alla legge sulla responsabilità civile dei giudici. Il pescatore, come impone la norma, si rivolgerà alla Presidenza del consiglio, chiedendo 8 milioni di euro.
Vincenzo Petrocelli, il magistrato che l’aveva messo sotto accusa, ha difeso in un’intervista al Corriere il proprio lavoro: «In primo grado è stato fatto un processo come si deve». E ancora: «La storia dello scippo subito dalla madre della persona che secondo due pentiti avrebbe ucciso i ragazzi per punirli, è stata accertata dopo, molto dopo».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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