Senza il Veneto ci rimette l’Italia

Il punto è che l'Italia senza il Veneto ci smena, il Veneto senza l'Italia ci guadagna. Il sentimento nazionale, di fronte all'interesse, passa naturalmente in secondo, anzi in ultimo, piano. Lo stesso calcolo vale per la Sicilia (e per altre regioni)

Senza il Veneto ci rimette l’Italia

Il carnevale è passato, siamo oltre metà Quaresima e il carro allegorico allestito dagli indipendentisti veneti, pur nel rispetto dell'estetica, non sarebbe servito nemmeno per la sfilata di Viareggio, che è già avvenuta. Credo. Ma non ho il calendario delle sagre paesane e delle manifestazioni folcloristiche italiane. Non riesco a capire perché le forze dell'ordine e la magistratura abbiano potuto scambiare un balocco - trattore in maschera - per un mezzo bellico, e arrestare 24 amici al bar che giocavano alla guerra, tipo battaglia navale, senza navi né cannoni.

C'è da dire che esiste un precedente: nel 1997 altri romantici della stessa regione misero in atto un'ammuina simile - una specie di assalto al campanile di San Marco, a Venezia - e qualche agente e qualche toga li prese sul serio. Processati e condannati, scontarono anni di galera. Non un cane protestò per il trattamento ingiusto che subirono. Succederà anche stavolta. Lo Stato e i suoi cosiddetti servitori si accaniscono sempre con chi fa scena ma è poco pericoloso. Non rischiano niente, neanche una pistolettata nelle caviglie, e rimediano una figurona con i tromboni e le trombette della politica.

I difensori della patria dicono, gloriandosi: avete visto, abbiamo sventato la rivoluzione; l'Italia rimane unita. E giù applausi, titoloni sui giornali perbenino, servizi televisivi pomposi e grondanti retorica. Scatta la deplorazione degli insurrezionalisti all'acqua di rose: sono ignoranti, egoisti, ubriaconi, buontemponi, s'illudono di contare qualcosa. Strano modo di giudicare la gente: la mettono in galera perché non si attenta alla sicurezza nazionale; al tempo stesso minimizzano la sua capacità di intendere e di volere. Delle due, l'una: o gli indipendentisti carnascialeschi sono una minaccia per le istituzioni, e allora vanno perseguiti a termini di legge, oppure sono degli stracciaculi innocui, pertanto gli si dia una tiratina d'orecchi e li si rimandi a casa con la raccomandazione di non fare più gli stupidini e di bere meno Valpolicella. Tertium non datur.

Viceversa, oggi come nel 1997, si tenta di accreditare entrambi i concetti: sono teste calde, ma anche teste vuote. Siamo alla mortificazione della logica. Stefano Lorenzetto, sul Giornale di ieri, ha messo i puntini sulle «i» e ci ha spiegato quanto siano state esagerate e inopportune le reazioni dell'apparato alle birichinate di questi veneti e venetisti esasperati, dei quali ha tracciato con maestria il profilo psicologico e ideologico, ammesso che le idee abbiano avuto un ruolo nei loro piani di ribellione. Peter Gomez, poi, nell'articolo di fondo sul Fatto quotidiano, ha centrato il problema, in parte sociologico e in parte economico.

Il Veneto infatti è fuori dagli stracci, come si dice dalle nostre parti. Nonostante la crisi endemica, ha ancora un Pil strepitoso se confrontato con quello della Romania, dell'Estonia e di altri Paesi diciamo pure minori. Ma, a dispetto della ricchezza che esso produce nel pieno di enormi difficoltà di mercato, sul territorio ne rimane ben poca per via della falcidia fiscale che azzera gli utili delle imprese. Di conseguenza le aziende licenziano o, peggio, chiudono, e i consumi calano fino sotto terra, dove finiscono gli industriali morti suicidi. Le esportazioni soffrono meno o non soffrono per nulla, come dimostrano i dati, ma se lo smercio interno si riduce ai minimi termini, ovvio che il giro degli affari rallenti e provochi miseria e allarme.

Con chi te la vuoi pigliare? I veneti si scagliano contro Roma e contro Equitalia. Si rafforza in loro l'opinione che le disgrazie dipendano dalla malagestione a livello di governo. Come fai a dare torto a chi la pensa così? Le cifre gli danno ragione. Il Veneto manda ogni anno 70 miliardi alle casse romane, e solo 50 ritornano a casa. Ne mancano 20. Che fine fanno? Con questi soldi la regione sarebbe in grado di fronteggiare agevolmente le necessità locali. Poiché questi numeri sono reali, è impossibile quietare la rabbia dei cittadini della defunta Serenissima.

Da notare che i veneti sono un'antichissima stirpe che con l'Italia non ha molto da spartire. Se si confrontano con altre popolazioni del Belpaese si sentono danneggiati, sfruttati. Sono persuasi di dover sborsare per mantenere chi lavora pochino e vive a sbafo con la testa tuffata nella greppia burocratica. Non ce l'hanno col Sud, contrariamente a quanto si dice semplificando rozzamente, ma con l'idrovora capitolina. Ambiscono ad arrangiarsi in proprio, convinti (è arduo contraddirli) che chi fa da sé fa per tre. Si domandano: perché mai non ci lasciano in pace, concedendoci l'opportunità di cavarcela senza l'apporto di terzi?

Per 11 secoli la Serenissima è stata indipendente dal bordello italico e non ha avuto bisogno di nessuno. Per quale motivo - chiedono i nostalgici - non ci restituite l'autonomia? Perché non vi conviene, maledetti? Perché puntate a succhiarci il sangue? Noi non pretendiamo nulla da voi, siete voi a pretendere da noi il pagamento del dazio. Vogliamo la nostra libertà.

Saranno ragionamenti da sempliciotti. Saranno quel che saranno. Ma il punto è che l'Italia senza il Veneto ci smena, il Veneto senza l'Italia ci guadagna. Il sentimento nazionale, di fronte all'interesse, passa naturalmente in secondo, anzi in ultimo, piano. Lo stesso calcolo vale per la Sicilia (e per altre regioni). La quale, se trattenesse per sé le accise sui carburanti raffinati in loco, disporrebbe di una decina di miliardi l'anno e non avrebbe più la necessità di piatire denaro dallo Stato. Sarebbero sufficienti questi denari alla pubblica amministrazione isolana? È probabile.

Comunque l'autonomia o è tale davvero, e serve ad alimentare la responsabilità, oppure è inutile.

Un Paese lungo e disomogeneo quale il nostro, che va dalle Alpi all'Africa del Nord, non può avere un «padrone» solo. I singoli popoli, l'uno tanto diverso dagli altri, meritano di costruirsi il proprio destino. Negare simile diritto è egoismo o disprezzo della realtà.

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