La pillola avvelenata non la vogliono inghiottire. Stretti tra l'incudine delle proteste di una piazza in crescente subbuglio e il martello delle pressioni politiche esterne e dei mercati finanziari, i parlamentari di Cipro hanno scelto ieri di bocciare il piano di aiuti da 10 miliardi, con scippo incorporato ai depositi bancari. Un rigetto che ha trasversalmente unito sinistra e destra: a parte i 19 astenuti del partito Disy del presidente Nicos Anastasiades, hanno mostrato il pollice tutti gli altri 36 deputati. Un no collettivo, il cui fine è quello di consentire al governo di sedersi di nuovo al tavolo con la troika Ue-Bce-Fmi per rinegoziare gli aiuti. In serata il presidente dell'Eurogruppo Jeroen Dijsslbloem ha ribadito «l'offerta a Cipro» e «il sostegno ai suoi sforzi riformatori», chiarendo che spetta sempre a Nicosia trovare il resto dei fondi (5,8 miliardi) dopo la bocciatura del prelievo forzoso.
L'esecutivo guidato da Dimitris Christofias aveva provato a rimodulare il pacchetto, trasformandolo in una versione più soft soprattutto per i risparmiatori con depositi fino a 20mila euro. Per loro, niente prelievo. Da applicare invece nella misura del 6,75% ai conti tra i 20mila e i 100mila euro e del 9,9% alle disponibilità oltre i 100mila. Un cambiamento che avrebbe tra l'altro messo a rischio i 5,8 miliardi di incassi inizialmente previsti con l'esproprio.
Niente da fare: i correttivi non sono bastati a rassicurare i deputati. Così, la tensione è ulteriormente salita. Sono circolate voci di dimissioni (poi smentite) da parte del ministro delle Finanze, Michalis Sarris, l'uomo forse incaricato di testare il «piano B», quello basato su un salvataggio alternativo offerto da Mosca. Una missione difficile, considerato che il prelievo sui depositi andrà a colpire anche gli oltre 30 miliardi di dollari parcheggiati dai russi nelle banche dell'isola mediterranea. Ma il tempo scorre, e un tentativo andrà comunque fatto. Anche perché la liquidità di cassa a disposizione del governo dovrebbe bastare fino all'inizio di giugno, quando scadono titoli di Stato da rifinanziare per 1,4 miliardi. Senza cash, il Paese rischierebbe l'insolvenza. Una bancarotta che «metterebbe in pericolo l'euro nel suo complesso», ha detto il direttore del fondo salva-Stati permanente, il tedesco Klaus Regling.
Parole che hanno ulteriormente messo in allarme i mercati: mentre l'euro scivolava sotto quota 1,29 dollari per la prima volta dal novembre scorso, le Borse - Wall Street compresa - venivano investite dalla corrente delle vendite (Milano ha perso l'1,6%, con sospensioni a raffica tra i titoli bancari) e lo spread Btp-Bund saliva a 340 punti, il presidente del parlamento cipriota ha esortato i deputati a votare contro l'impopolare piano di salvataggio. «La risposta non può che essere una: no al ricatto. Si tratta di una razzia», ha detto Yiannakis Omiru del Partito socialista Edek.
Già alla vigilia del voto il governo aveva peraltro detto di ritenere «improbabile» un via libera alla legge, dato che il Disy controlla solo 20 seggi sui 56 totali. Sia i comunisti (19 seggi) sia i socialisti (5) si erano subito dichiarati contrari alla proposta di prelievo forzoso. La situazione, al momento, è dunque di stallo. Una impasse per nulla gradita da quella stessa Germania che non più tardi di lunedì aveva negato la paternità del bailout. Ecco quindi il diktat: «Finche il parlamento non avrà deciso, non ci sarà alcun programma di aiuto», hanno riferito fonti governative. Non solo: «Senza un programma di aiuto, la liquidità per aiutare le banche cipriote è in pericolo. E fino ad allora le banche cipriote non potranno riaprire». I lucchetti agli sportelli dovevano essere tolti domani, giorno di prevedibile assalto dei correntisti alle banche. Panicos Demetriades, governatore della banca centrale, ha messo in conto che la fuga di capitali dall'isola potrebbe corrispondere al 10% dei depositi, vale a dire un massimo di 7,5 miliardi.
Poi, restano i timori che l'esproprio cipriota
sia un ballon d'essai replicabile altrove. A dar retta al presidente dell'Eurogruppo, Jeroen Dijsselbolem, non c'è però da aver paura: «Non c'è nessuna necessità di un prelievo straordinario sugli asset degli altri Paesi».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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