Dario Fo si candida a un eventuale secondo Premio Nobel per la letteratura con un lungo messaggio pubblicato sul blog di Beppe Grillo. Vi chiederete: perché l'Accademia dovrebbe consegnare un secondo alloro al nostro uomo di teatro già vincitore nel 1997? Tutto merito della sua battuta sulla statura di Brunetta (che non sarebbe all'altezza) e del suo gioco di parole sul cognome di Schifani (che farebbe schifo). Ebbene, queste non sono insulse freddure sconfinanti nell'insulto come asseriscono «i soliti giornali moralmente corretti e i media in generale». Questa è arte, scrive Fo. È il lazzo grottesco di chi vuole fustigare il potere, lo sberleffo geniale del giullare capace di sovvertire le regole. Quindi, subito dopo un accenno poco convinto al pericolo di censura, giunge il monito del comico stilato in limpida (?) prosa: «Potete continuare a cacciarci se vi riesce e, come ha richiesto certa stampa, a pretendere che l'Accademia di Svezia ci ritiri il Premio Nobel, ma qui bisogna che vi avverta subito: andate a rischio che in seguito a questo nostro comportamento verso una nazione come è oggi l'Italia ce ne diano un altro di Premio Nobel con la stessa motivazione del primo: Questo premio vi è consegnato per aver dileggiato il potere a vantaggio della dignità degli oppressi».
Segue Post Scriptum. Il Premio Nobel annuncia l'uscita del suo nuovo libro, scritto a quattro mani con la giornalista Giuseppina Manin: Un clown vi seppellirà (Guanda, in libreria dal 30 maggio). Si tratterebbe di «satira», «le persone spiritose si divertiranno... un po' meno certi politici». In realtà, nel corso del colloquio con la Manin, Fo espone il suo punto di vista sulla dissoluzione dei partiti tradizionali e sull'emergere di nuove forme di democrazia. In altre parole, Un clown vi seppellirà è una riflessione sul Movimento 5 Stelle che si sviluppa a partire da personali ricordi del 1968. I lettori del blog di Grillo apprezzeranno e forse acquisteranno.
Pochi giorni prima, a metà mese, arriverà in libreria anche una raccolta di saggi firmata da un altro Premio Nobel per la letteratura, il peruviano Mario Vargas Llosa. Il titolo è invitante (La civiltà dello spettacolo, Einaudi), il contenuto è dirompente. Sarà interessante leggerlo in parallelo al libro di Fo, tenendo a mente anche le sue ultime sparate. Secondo Vargas Llosa sono saltate tutte le gerarchie artistiche: con la scusa di portare la cultura al popolo, intellettuali irresponsabili hanno esaltato superficialità e trivialità. I protagonisti riveriti di questo nuovo mondo sono i comici, che siedono al posto un tempo occupato da filosofi e scrittori, ormai screditati. La cultura si è ridotta a farsa e parodia. Siamo nell'epoca dei ciarlatani e dei saltimbanchi, ancora più nocivi quando si avvicinano alla politica, che abbassano al loro livello attraverso la retorica dell'antipolitica. Spietato.
Mario Vargas Llosa fa qualche nome a esempio della mediocrità generale. «Questa nostra epoca - scrive l'autore - conforme all'inflessibile pressione della cultura dominante, che preferisce l'ingegno all'intelligenza, l'immagine all'idea, lo humour alla serietà, la banalità alla complessità e il frivolo alla profondità ormai non produce talenti come Ingmar Bergman, Luchino Visconti o Luis Buñuel.
Chi è l'icona del cinema del nostro tempo? Woody Allen, che è, rispetto a David Lean o Orson Welles, quello che è nella pittura Andy Warhol rispetto a Gauguin o Van Gogh; e nel teatro Dario Fo rispetto a Cechov o Ibsen». Il secondo Nobel può attendere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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