Efficace, rigoroso, essenziale: ecco il film su Tortora rifiutato

Abbiamo visto in anteprima il documentario di Ambrogio Crespi sulla tragedia del preesentatore. Escluso da Müller perché troppo "televisivo", è un buon lavoro

Il presentatore tv Enzo Tortora arrestato all'alba del 17 giugno 1983
Il presentatore tv Enzo Tortora arrestato all'alba del 17 giugno 1983

Il Festival internazionale del cinema di Roma, appena iniziato, ha perso una bella occasione rifiutando il documentario Enzo Tortora. Una ferita italiana di Ambrogio Crespi. I selezionatori, appunto, selezionano chi pare a loro e qualsiasi interferenza sarebbe inaccettabile. Inoltre, come abbiamo scritto centinaia di volte, il valore di un'opera non si misura dal suo impegno civile. Quanta robaccia abbiamo dovuto inghiottire, esaltata dalla critica perché organica a una parte politica?
In questo caso però i conti non tornano lo stesso. Nessuna censura, a nostro parere, “solo” disattenzione e snobismo. Marco Müller ha motivato la bocciatura del film con due argomenti: Enzo Tortora. Una ferita italiana sarebbe troppo «televisivo», nello stile di una puntata di Report. Inoltre non porterebbe alcuna novità alla vicenda. Il documentario, visto in anteprima, non ha pretese artistiche, non è Sacro Gra, vincitore della Mostra di Venezia, ma è interessante, senza sbavature, per niente strumentale, fondato su interviste di valore. Sono quasi sessanta minuti che producono indignazione, sconforto, commozione. Crespi raggiunge appieno l'obiettivo di qualsiasi prodotto di questo tipo: ricostruire, informare, consentire allo spettatore di formarsi un'opinione. Insomma, perché escluderlo? Perché le inquadrature sono troppo semplici? L'assenza di fronzoli è la giusta forma di rispetto per la storia drammatica di Enzo Tortora. Sarebbe stato fastidioso il contrario. Qualcuno a Roma, lontano da registratori indiscreti, ha pure speculato sui guai giudiziari del regista, 200 giorni di carcerazione preventiva alle spalle (per concorso esterno in associazione mafiosa all'interno di un'inchiesta traballante). Si dimostra così la necessità di rievocare una volta di più il calvario al quale fu sottoposto il conduttore di Portobello.
Il 17 giugno 1983, Enzo Tortora è arrestato alle quattro di mattina all'Hotel Plaza di Roma. Il conduttore sarebbe un camorrista e uno spacciatore. Le accuse, mosse dalla Procura di Napoli, sono basate sulle dichiarazioni di pentiti come Giovanni Pandico, Giovanni Melluso e Pasquale Barra cui si aggiungeranno altri “testimoni”, alcuni grotteschi. Al centro c'è un'agendina trovata nell'abitazione di un criminale in cui sembra leggersi il nome «Tortora» accanto a un numero telefonico. Peccato ci sia scritto «Tortona» e che l'utenza non sia riconducibile a Enzo. Il presentatore passa sette mesi in carcere e cinque mesi ai domiciliari in attesa di processo. Nel 1984 è eletto parlamentare europeo nel Partito radicale. Nel 1985 è condannato a dieci anni di reclusione. Si dimette dal Parlamento europeo. Torna ai domiciliari. Nel settembre 1986 la Corte d'Appello di Napoli smonta il processo precedente. Tortora non ha commesso il fatto. Nel 1988, gravemente malato, dà mandato ai suoi legali di richiedere il risarcimento dallo Stato. Come monito e come esempio: anche i magistrati devono pagare i loro errori. È l'ultima battaglia di Enzo Tortora, che muore il mese seguente, il 18 maggio 1988.
Questi sono i nudi fatti, che Crespi affida a scioccanti immagini di repertorio. Tortora appare con le manette ai polsi ed è esibito come un trofeo di caccia a uso dei fotografi. I titoli dei giornali, tutti quanti colpevolisti. Gli avvocati della difesa, Alberto Dall'Ora e Raffaele Della Valle, certi in partenza di aver perso, parlano di «istruttoria inesistente» con voce spezzata. I pentiti sorridono nell'aula di tribunale. Uno di loro, alla lettura della sentenza di condanna, grida: «Ha vinto lo Stato! Ha vinto la giustizia! Hanno vinto i carabinieri!». Tortora malato e quasi soffocato dalla tosse riferisce alla stampa di essere stato indicato come consumatore abituale di cocaina. Lascia il Parlamento europeo, nonostante il Parlamento sia contrario. Marco Pannella (un gigante) si pronuncia contro i giudici del primo grado. Della Valle ascolta in lacrime la lettura della tardiva assoluzione.
Se non bastassero queste scene, che lasciano il segno anche alla milionesima visione, Crespi ha raccolto una serie d'interviste bellissime. Francesca Scopelliti legge le lettere inviatele dal carcere dal conduttore. Sono testimonianze della statura morale di Tortora, spezzano il cuore soprattutto quando descrivono la (non) vita in cella. Tra gli altri parlano gli avvocati Raffaelle Della Valle e Mauro Mellini. Il giudice Corrado Carnevale. I giornalisti Francobaldo Chiocci e Vittorio Feltri, che furono i primi cronisti a capire l'innocenza di Tortora. Mentre Vittorio Pezzuto, autore della biografia di Tortora Applausi e sputi (Sperling & Kupfer), ricorda la fortunata carriera delle toghe che distrussero l'esistenza del presentatore. Tutti assieme tracciano un quadro delle storture della giustizia italiana da cui si capisce che poco è cambiato. I problemi sono gli stessi: la carcerazione preventiva come «lebbra del processo penale» (Tortora), la contiguità tra inquirenti e parte della stampa, la mancata responsabilità dei giudici, la condizione disumana delle carceri, lo scontro tra magistratura e politica. Su questo punto, Tortora disse di trovare indecoroso che un parlamentare potesse farsi scudo dell'immunità per difendersi dai processi. Crespi mette in risalto questa posizione, fatto che impedisce di servirsi strumentalmente del film, rovesciandolo troppo sull'attualità di questi giorni, caso mai qualcuno si fosse fatto strane idee.
Domani Enzo Tortora. Una ferita italiana sarà presentato alla Camera. In serata alcune scene saranno trasmesse su Canale 5 a Matrix. Il film non è andato a Roma? Il problema è tutto del Festival che tra l'altro non si è dimostrato all'altezza del suo snobismo inaugurando con la solita commediola all'italiana. Alla faccia del Festival “Internazionale”...

segue a pagina 23

di Alessandro Gnocchi

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