La proprietà vive un momento difficile. All'invidia sociale si è sostituito l'odio sociale. Il Parlamento risente di questo ambiente (non generalizzato, ma ben radicato). Il civile principio che si deve tassare il reddito di un bene, e solo il reddito (sempre che ci sia), appare superato, benché costituzionalmente protetto. Ora, lo Stato sembra non accontentarsi più del reddito, vuole il patrimonio. L'invocazione di alcuno (prendeteci il 100 per cento del reddito, ma del reddito), sembra anch'essa superata. Si vuole tassare il valore dei beni (a parte che non sia neanche individuato correttamente, ma invece a casaccio: certe volte all'insù e altre all'ingiù).
La stampa oligopolista, in mano alla finanza, chiede per il catasto di allineare i valori, per tassarli. Varato su base reddituale in tempi civili (quelli dell'appena nato Stato unitario), avrà ora anche un valore per ogni unità immobiliare, oltre la rendita (che misura o dovrebbe misurare il reddito). L'Europa (della finanza) è anch'essa allineata: si vuole scoraggiare il risparmio privato dall'investimento immobiliare. Le tasse più inique, per premere su tale tipo di investimento, vengono varate: da ultimo, s'è pensato perfino allo sfitto involontario. Si teorizza anche da cattedre di costituzionalisti ritenuti insigni il «tributo ablativo», assegnando all'imposizione fiscale un'incostituzionale funzione di esproprio surrettizio (e quindi senza indennizzo) e, comunque, di redistribuzione (socialista) della ricchezza. Che si definisce ipocritamente, in malafede tale, anche quando non la si può realizzare sul mercato come spesso capita ai nostri tempi (e quindi, ricchezza non è).
S'invoca la progressività fiscale (costituzionalmente legata ai redditi) addirittura anche per i tributi reali, volutamente ignorando che, per la forte progressività del nostro sistema fiscale, il 10 per cento della popolazione con redditi più elevati contribuisce già per più del 50 per cento all'intero gettito delle imposte. La stampa confindustriale pretende di dettare l'ordine del giorno del Consiglio dei ministri, e predica di tutelare (cioè di favorire fiscalmente) «imprese e lavoro», come se ogni investimento non creasse lavoro. Impone il concetto a chi vuol crederci, solo per «far cassa» che quella immobiliare è una ricchezza statica, a bella posta ignorando com'è di comune conoscenza la sua componente dinamica.
Pur in questo panorama (tetro, a volte barbaro come per lo sfitto involontario o incivile, come per la tassazione a valore prescindendo dal reddito) la proprietà si difende, forte dei valori (di libertà e di indipendenza) che da sempre come ha lasciato scritto von Mises presidia. Le battaglie condotte hanno evitato pericolose svolte, altri pericoli sono stati anche nel silenzio dei colloqui riservati ridimensionati. Presentando, per gli 80 anni della nostra associazione di Genova, una pubblicazione dell'indimenticato (e indimenticabile) avvocato Giovanni Forcheri, scrivevo: «La pubblicazione passa in rassegna le traversie di sempre, ricorrenti. Evidenzia fatiche, entusiasmi e scoraggiamenti: ieri, ancora una volta, come oggi. Ma l'importante, alla fine, è questo: che nonostante tutto, la proprietà edilizia è sempre sopravvissuta, nei suoi singoli esponenti e nel suo valido e vitale associazionismo. Sopravvissuta nonostante incomprensioni (e, qualche volta, anche persecuzioni), ad assicurare la propria presenza e funzione».
Queste parole, sono valide ancora oggi, appena celebrati nel 2013 i 130 anni della Confedilizia. Celebrando l'avvenimento, siamo andati ad altri tempi, nei quali la funzione della proprietà pur con ricorrenti difficoltà era più riconosciuta, tempi nei quali si respirava aria più pura (e ben più pulita). Le nostre associazioni territoriali ne sono la prima testimonianza.
E perché quell'aria ritorni, ci battiamo giorno per giorno, con la forza della volontà, ma soprattutto con la forza di credere nei valori intramontabili, generali e non corporativi nei quali crediamo.di Corrado Sforza Fogliani Presidente di Confedilizia
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