Adesso che se n'è andato i prelati si ribellano al Papa

Sono rimasti in silenzio per rispetto, ma la scelta di Ratzinger non l'hanno condivisa per niente. E si stanno organizzando perché non succeda mai più

Adesso che se n'è andato i prelati si ribellano al Papa

Roma - Ora che Benedetto XVI è volato a Castelgandolfo, prendono corpo dubbi e interrogativi sulla sua rinuncia. Sono rimasti sopiti per 20 giorni per una forma di rispetto per il vecchio Papa rinunciatario, così da non appesantirgli ulteriormente il distacco dalla sede di Pietro. Domande che sono presenti in molti fedeli, ma anche tra i cardinali. Giovedì mattina l'hanno salutato per l'ultima volta nella Sala Clementina: i porporati erano 144 su 208. Ne mancavano tre su dieci. Alcuni erano lontani o malati, impossibile per loro venire fino a Roma. Altri, dopo il pensionamento, hanno scelto la riservatezza. Ma qualcun altro potrebbe aver manifestato con l'assenza una forma di «dissenso» dalla grave decisione del pontefice.
Che nel grande popolo di Dio - e forse anche tra i principi della Chiesa - serpeggi qualche dubbio è confermato indirettamente da quanto ha scritto il direttore dell'«Osservatore Romano», Giovanni Maria Vian: la rinuncia del Papa è «un atto grave e nuovo che alcuni non capiscono». Il primo a manifestare perplessità (seguite da una precipitosa marcia indietro) era stato il cardinale Stanislao Dziwisz, l'ex segretario di Wojtyla, ora arcivescovo di Cracovia, che nelle ore successive all'annuncio della rinuncia aveva detto: «Giovanni Paolo II riteneva che dalla croce non si scende». Cioè il papa non deve dimettersi.
Adesso le argomentazioni sono un po' più articolate. In un'intervista tv il cardinale australiano George Pell, soprannominato «Big George» per la stazza fisica (è un ex giocatore di football), ha sottolineato un rischio insito nella rinuncia al pontificato: «Ci potrebbero essere persone che essendo in disaccordo con un futuro Papa potrebbero montare una campagna contro di lui per indurlo alle dimissioni». È un'eventualità che non sfugge alla stessa segreteria di Stato vaticana, che nei giorni scorsi aveva pubblicato un documento molto duro con i mezzi di comunicazione, diffidando i giornalisti dall'influenzare i cardinali elettori.

Circola voce che un gruppo di porporati voglia chiedere al futuro Papa di fare proprie solennemente le parole di Benedetto XVI nell'ultima udienza generale di mercoledì, quando ha accennato al fatto che si diventa Papa «sempre e per sempre». Essi vorrebbero un'assunzione di responsabilità formale, per evitare che la Chiesa possa essere equiparata nella mentalità comune a un'organizzazione retta a tempo da una grande personalità che passa la mano quando considera chiuso (o impossibile da compiere) il proprio mandato.

Sarebbe un modo per garantire la libertà della Chiesa da condizionamenti e pressioni e preservare la sacralità della figura del vescovo di Roma, il vicario di Cristo in terra.

Ma la mossa nasconde anche il rischio di ridurre la portata della decisione di Benedetto XVI, facendone un «caso personale» legato alle particolarissime condizioni di Joseph Ratzinger e non un gesto libero e consapevole che affida la Chiesa a chi la guida davvero, cioè Dio stesso.

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