Il day after dell'Ufficio di presidenza viene vissuto nel fronte degli «alfaniani» sul filo di ostentate sicurezze e comprensibili timori. Incassato il contropiede berlusconiano, Angelino Alfano, nella sua veste di quasi «ex» segretario di un partito in via di mutazione, invita i suoi a tenere i nervi saldi, a evitare fughe in avanti e l'evocazione della scissione. Sulle mosse da compiere la valutazione è in corso, ma è difficile dissipare la nebbia e i dubbi che inevitabilmente si addensano sopra un passaggio così delicato e rischioso. «Lo scioglimento del Pdl può essere deciso soltanto dal Consiglio nazionale. Quella di venerdì è solo una proposta, priva di valore esecutivo. Alfano resta regolarmente in carica, almeno fino all'8 dicembre. Continua ad avere il potere di firma e qualunque suo atto sarà valido» è la posizione ufficiale dei «governativi». Il ministro dell'Interno anzi fa trapelare soddisfazione «perché i lealisti volevano la mia testa e Berlusconi non gliel'ha data».
Di certo, però, sta vivendo il momento con grande tensione, incastrato nel dilemma se rompere o restare dentro. Con una terza opzione che si affaccia all'orizzonte: la divisione tra Pdl «alfaniano» e Forza Italia «berlusconiana», una ipotesi, quella della «coesistenza» che lo stesso Berlusconi non sembra affatto disposto ad avallare.
Inoltre se molti dirigenti della corrente «governativa» spingono per la rottura, Alfano continua a invitare tutti a una valutazione attenta di tutte le implicazioni di un divorzio conflittuale da colui che rappresenta da quasi vent'anni il riferimento del popolo dei moderati. Peraltro tra gli scenari disegnati in queste ore si è anche ragionato sulla possibilità di non presentarsi alle Europee qualora si dovesse consumare lo strappo, così da evitare di misurarsi subito con le urne e con la soglia di sbarramento del 4 per cento (anche se su questo fronte bisognerà vedere quale tipo di aggregazione potrebbe prodursi con l'Udc e i montiani in libera uscita da Scelta Civica).
In ogni caso prima di proiettarsi verso un futuro ancora distante, l'attenzione di tutti è puntata sullo show down dell'8 dicembre. L'analisi dei numeri del Consiglio nazionale è già iniziata. Ieri Roberto Formigoni sottolineava come «tutti danno per già accaduto lo scioglimento del Pdl e il passaggio a Forza Italia. Non è così. Solo il Consiglio nazionale ha questo potere. E in questo senso continua ad aumentare il numero di parlamentari, consiglieri regionali, membri del consiglio nazionale del Pdl che stanno sulle nostre posizioni».
In vista di una partita delicatissima gli alfaniani contano molto sui voti provenienti dalla Lombardia (l'auspicio è di assicurarsi il sostegno della maggioranza dei 19 consiglieri regionali), dalla Calabria e dalla Sicilia. È in via di preparazione anche un documento politico su tre punti - governo, partito e futuro del Paese - che sarà firmato dagli alfaniani in Parlamento. E lo stesso si sta iniziando a fare sul territorio dove si sta cercando di convincere i grandi portatori di voti. «È evidente, però, che un conto è convincere i dirigenti locali a firmarlo prospettando uno scontro tra i falchi e Alfano o tra Fitto e Alfano. Altra cosa è la percezione diffusa di uno scontro Berlusconi-Alfano», spiegano. I conti, dunque, tornano solo parzialmente.
In Campania, ad esempio, una iniziativa promossa da Nitto Palma, Cesaro, Caldoro e Laboccetta, schierati sull'altro fronte, ha fatto subito il pieno di adesioni (e altrettanto sta accadendo nel Lazio, in Puglia, in Toscana e in Lombardia). Inoltre nella guerra di firme bisogna tenere conto della «zona neutra», ovvero di coloro che non voglio sbilanciarsi e per ora giocano a carte coperte. Complicando i calcoli di tutti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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