Caro Matteo Renzi,
non ho mai nascosto di nutrire simpatia per lei, non foss'altro perché nel centrosinistra non c'è nessuno meno a sinistra della sua riverita persona, che tuttavia mi irrita per la verde età: 39 anni sono davvero troppo pochi per uno come me che ne ha già compiuti 70. Cerchi di capire: più s'invecchia e più si detestano i giovani. Invidia? No di certo. Il problema è un altro. I ragazzi, anche quelli cresciutelli, sono animati da eccessivo ottimismo e convinti di poter cambiare il mondo, non importa che poi non siano capaci di cambiare neppure se stessi. Ma questo è un altro discorso.
Noi dai capelli bianchi, invece, abbiamo inanellato una serie di delusioni e siamo diventati pessimisti circa la possibilità di mutare le cose in meglio, pur con la certezza che nel peggio c'è qualche opportunità di progredire. Non solo. Abbiamo un timore: metti caso che un giovanotto abbia successo dove noi abbiamo fallito. Avremmo la prova che, nonostante l'esperienza di cui ci vantiamo, siamo stati e siamo assai più stupidi di lui. E ciò non ci garberebbe.
Ecco perché, simpatia a parte, guardiamo a lei con diffidenza e siamo combattuti fra due sentimenti contrastanti: da un canto saremmo lieti se fosse in grado di raddrizzare le gambe ai cani politici, dall'altro ci terrorizza l'ipotesi che un ragazzo di Firenze sia all'altezza di compiere un miracolo mai stato alla nostra portata. Al di là di queste considerazioni senili - comunque non infondate - siamo sicuri, quasi al 100 per cento, che lei farà un buco nell'acqua a prescindere dal suo talento di affabulatore con l'attitudine al comando. Il motivo di questa tetra previsione è presto spiegato: l'Italia non è governabile oggi come non lo è stata ieri. Intanto perché è piena zeppa di italiani, di cui sono note le peculiarità, ma anche i difetti, che comprendono l'insofferenza alla disciplina e al lavoro di gruppo, come dicono gli allenatori di calcio. Inoltre perché il sistema istituzionale che ci siamo dati è stato studiato e costruito apposta per impedire a chiunque non dico di conquistare il potere - in effetti lo sta conquistando perfino lei - ma di esercitarlo.
Tutti affermano con orgoglio che la nostra Costituzione è la più bella del globo. È vero. La Carta è bellissima, ma utile soltanto a rendere progressiva la paralisi della macchina statale. Il premier ha un ruolo marginale: primus inter pares. Non è nemmeno abilitato a scegliersi ed eventualmente a licenziare i ministri. Deve coordinarsi con il presidente della Repubblica anche solo per spostare una scrivania. Ha la facoltà - di concerto con i capi dei dicasteri - di approvare decreti, i quali però, successivamente, devono essere convalidati dal Parlamento. Deputati e senatori propongono immancabilmente una valanga di emendamenti, cosicché le leggi, entrate bianche alla Camera o al Senato, ne escono nere.
Infatti nelle aule giocano le lobby e le corporazioni che, utilizzando trucchi ed espedienti, influenzano i parlamentari, peraltro abilissimi nell'arte di snaturare ogni provvedimento tramite il collaudato meccanismo dei veti incrociati. Tutto ciò provoca perdite di tempo e una sorta di sfinimento nell'esecutivo, la cui volontà viene regolarmente tradita. Ancora. I programmi di governo sono sempre assai articolati, direi esaustivi, espressi in un linguaggio astruso e riempiono di parole centinaia di pagine. Anche questi, bellissimi quanto la Costituzione, ma praticamente irrealizzabili perché tra il dire e il fare ci sono di mezzo le beghe nei, e fra, partiti, nelle, e fra, coalizioni. Senza contare interessi personali e di categoria spesso in conflitto con quelli generali. Ne derivano estenuanti trattative che si protraggono per mesi, talvolta anni. Sorvoliamo sul bicameralismo perfetto, talmente perfetto da risultare esiziale: le leggi morte durante il percorso dall'ideazione alla concretizzazione sono migliaia e migliaia.
Non bastasse ciò, l'intera attività dei politici si traduce in atti che, per poter entrare in vigore, devono essere scritti dalla mastodontica burocrazia ministeriale, paragonabile alle antiche caste sacerdotali depositarie del verbo. Sono loro, i dirigenti statali, che vergano le norme badando a trovare prima l'inganno, poi a confezionare il testo definitivo redatto in modo che richieda di essere interpretato e, quindi, adattato a seconda delle circostanze e delle convenienze di questo e di quell'altro personaggio o azienda o potentato, banche per esempio.
I governi passano presto, mentre i burocrati rimangono e seguitano a gestire il vero potere, anche perché la maggioranza dei politici, governanti inclusi, non capisce nulla della complessa organizzazione statale. Caro Renzi, questa è la situazione nella quale si troverà presto, suppongo, immerso. Come farà a destreggiarsi in un simile ginepraio? L'unico che riuscì a domare la Bestia fu Mussolini. Il quale all'inizio si piegò alla logica dei partiti, poi, pur essendo giovane quanto lei, li delegittimò e istituì una dittatura con se stesso al vertice. Non crediamo sia questa la strada che lei intende percorrere, ammesso e non concesso che le sia permesso imboccarla. Pertanto sappia a cosa va incontro.
Lo stesso Craxi, che invocava la riforma istituzionale, essendosi accorto che non c'era verso di rintracciare un bottone nella stanza dei bottoni, si arrese e non varò mai il piano Bozzi che semplificava la vita pubblica, assegnando all'esecutivo poteri forti sul serio. Bettino è passato alla storia per il Concordato e l'abolizione della scala mobile, e non cito Sigonella perché fu una porcata apprezzata solo dalla sinistra. Questo per dire che lei si accinge a infilare la mano in un nido di vipere nel quale anche Silvio Berlusconi è stato morso. Il Cavaliere voleva fare tanto ma ha potuto fare poco e ci ha pure lasciato qualche penna.
Giovanotto avvisato, mezzo salvato. Va incontro al plotone di esecuzione a petto nudo? Si ripari, figliolo.
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