«Basta con le frasi a metà Chi sa ora deve parlare»

Roma«Parlino chiaro, Piero Grasso e Sergio Lari. Basta con le frasi a metà. Se due magistrati con alti incarichi decidono di discutere in pubblico sulla trattativa tra Stato e mafia e le intercettazioni al Capo dello Stato è lecito pensare che abbiano notizie precise. Dunque, non rimangano nel generico». Il deputato Pdl Alfredo Mantovano (nel tondo) entra decisamente nella polemica sull'attacco a Giorgio Napolitano e sui possibili «mandanti». E reclama chiarezza dal procuratore nazionale antimafia, che ha parlato delle stesse «menti raffinatissime» che erano dietro alle stragi del '92 e dal titolare della procura di Caltanissetta, inquirente proprio su quei fatti, che oggi accusa dell'operazione contro il Quirinale «personaggi politici ben noti».
Sono due tesi in contrasto?
«Credo di no e dobbiamo ritenere che Grasso e Lari si riferiscano a soggetti identificabili. Il primo usa le parole di Falcone, che avevano una logica riferite al caso concreto del mancato attentato all'Addaura, mentre qui è diverso. Il secondo, dice che il pensiero di Grasso è “più articolato”. Perché entrambi non vanno fino in fondo e completano il discorso?».
Teme che così si alimentino illazioni e polemiche?
«È inevitabile che si interpretino in vario modo le parole dei due magistrati. Chi sono le “menti raffinate” evocate da Grasso? Lari dice che il mittente dell'attacco a Napolitano è chi lo accusa di aver intralciato le indagini sulla trattativa. Non so di quali politici parli, ma sono certo che se Napolitano viene toccato da accuse così gravi è perché si moltiplicano le indiscrezioni su intercettazioni del Quirinale, senza precedenti e senza riferimento ad alcun illecito (lo dice il capo della procura di Palermo), fatte da un ufficio confinante con quello di Caltanissetta. La cosa più grave è che neanche il capo dello Stato possa avere una sfera di riservatezza e parlare liberamente con i suoi collaboratori più o meno abituali, perché anche qui si intromette l'autorità giudiziaria».
Sul conflitto d'attribuzioni deciderà la Consulta, interpellata da Napolitano. Ma la Procura di Palermo si giustifica dicendo che l'intercettazione era indiretta, per ascoltare Nicola Mancino.
«Visto che non si può intercettare il presidente della Repubblica, bisognava subito interrompere e distruggere i nastri. Mentre si è continuato ripetutamente e le conversazioni sono state conservate, anche se non trascritte secondo il procuratore di Palermo».
Per un altro Pm molto loquace, Giuseppe Di Lello, certe manovre servono al Pdl per forzare l'approvazione della legge sulle intercettazioni.
«Mi lasci dire, da ex magistrato, che rimpiango il tempo in cui chi indossava la toga si esprimeva solo con sentenze e atti giudiziari. Allora era ben maggiore l'autorevolezza del corpo giudiziario. Sulla riforma delle intercettazioni: bisogna cambiare le regole, almeno quelle rivelatesi inefficaci, che consentono un uso improprio di uno strumento importante».
Per alcuni, come Giulia Bongiorno, non c'è più tempo.
«Non è vero. Questa maggioranza anomala ha varato leggi in tempi record. Su 4-5 punti chiave l'accordo è possibile.

Sulla materia ci confrontiamo da anni e anche a sinistra tanti sono insoddisfatti di come funzionano le cose».
Ma la legge non riguarderebbe le prerogative del Quirinale...
«Perché escludere questo aspetto? Possiamo correggere tutte le anomalie. Se per una volta anticipassimo la Consulta, meglio».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica