A Sua Santità Papa Francesco,
nella notte della Veglia Pasquale di cinque anni fa risorsi a nuova vita abbracciando la fede in Gesù con il dono immenso del battesimo ricevuto dalle mani del Papa Benedetto XVI. Ed è stato proprio l'inedito passaggio del papato e la contemporanea presenza di due Papi, entrambi depositari di investitura divina e come tali vicari di Cristo, nonché il suo successivo esordio su posizioni qualitativamente diverse rispetto a quelle del suo predecessore, ciò che ha acuito in me la presa d'atto della discrepanza tra la dimensione della fede e quella comportamentale, fino al pubblico annuncio della mia dissociazione dalla Chiesa pur nella certezza sia del mio essere cristiano, amante di Gesù vero Dio e vero Uomo, nato, morto e risorto, sia dell'adesione al battesimo che mi ha consacrato alla fede in Cristo.
Nell'augurare che questa nuova Pasqua di Risurrezione possa rigenerare in me e in tanti sinceri credenti che scelgono di mantenere il riserbo sui dubbi, nel convincimento che né la Chiesa né il Papa possano essere messi in discussione, le chiedo di ascoltarmi e se lo vorrà di incontrarmi, per darci delle risposte a delle sfide cruciali il cui esito determinerà il futuro del cristianesimo inteso non tanto come fede, coltivando la certezza della vittoria alla fine dei tempi, ma come civiltà che ispira il nostro vissuto e il modello di Stato, di società e di sviluppo a cui aspiriamo.
Sono cresciuto nella divaricazione tra l'islam - la religione del dio Allah che si fa testo e che s'incarta nel Corano e dove fede e ragione mal si conciliano - e tra il cristianesimo - la fede nel Dio che si fa Uomo e che s'incarna in Gesù e dove naturalmente fede e ragione si coniugano in modo armonioso. Il giorno stesso del mio battesimo fui condannato a morte per apostasia dai musulmani e fui criticato dai cristiani per aver denunciato l'islam come intrinsecamente violento e storicamente conflittuale. Vivevo già sotto scorta perché sin da musulmano condividevo i valori non negoziabili della sacralità della vita, della pari dignità tra uomo e donna, della libertà religiosa, che nel cristianesimo hanno trovato la loro dimora naturale. Mentre la violenza è intrinseca al Corano e a Maometto e la conflittualità è intrinseca allo scontro sulla concezione e la gestione del potere spirituale e secolare tra i musulmani, ho sempre immaginato che all'opposto nel Cristianesimo prevalgano sia l'amore che è in Gesù e nei Vangeli, sia l'unità quantomeno tra i cattolici in virtù della presenza del Papa.
Sulla base della convinzione che i cattolici non possano non essere che un tutt'uno con il Papa quale vicario di Cristo in terra, ho sempre vissuto con sofferenza il contrasto tra ciò che in seno alla Chiesa si afferma come verità, ciò in cui si crede come fede e ciò che si compie come opere. A cominciare dalle dimissioni terrene del Papa Benedetto XVI, nel pieno delle sue facoltà mentali e una salute invidiabile per i suoi 86 anni, che da un lato non potrebbero far venir meno l'investitura divina che l'ha consacrato a vicario di Cristo e, dall'altro svela la resa al potere secolare che governa lo Stato del Vaticano incappato in una serie di scandali finanziari e sessuali.
Subito dopo il suo esordio come Papa, sono rimasto perplesso dal suo messaggio centrale volto a promuovere una Chiesa povera vicina ai poveri. Pur comprendendo che la Chiesa ha un orizzonte universale e si fa carico della tragica realtà di tanti poveri nel mondo, l'esaltazione della povertà come valore intrinseco, alla stregua di San Francesco di cui lei è il primo Papa ad adottarne il nome, rischia di essere equivocata nel momento in cui in Italia, in Europa e altrove delle popolazioni benestanti vengono ridotte in povertà dalla dittatura finanziaria promossa dalla speculazione globalizzata, dallo strapotere delle banche e dall'Eurocrazia che condannano a morte le imprese, moltiplicano i disoccupati, mettono in sofferenza le famiglie e tolgono la speranza ai giovani. Esaltare la povertà, almeno in questa parte del mondo e in questo momento storico, rischia di essere percepito come un invito alla rassegnazione ad una tirannia che sta trasformando dei paesi ricchi in popolazioni povere per assecondare l'ingordigia di chi ha eretto il denaro a proprio dio.
Tornando sul piano generale della discrepanza tra la dimensione della fede e quella comportamentale della Chiesa, evidenzio sei ambiti specifici dove essa si manifesta. Il primo concerne la «dittatura del relativismo», così come magistralmente la definì Benedetto XVI, che si declina innanzitutto nel relativismo religioso e specificatamente nel mettere sullo stesso piano ebraismo, cristianesimo ed islam concepite come le «tre grandi religioni monoteiste, rivelate, abramitiche e del libro», traducendosi nella legittimazione dell'islam e conseguentemente nella delegittimazione del cristianesimo, dal momento che l'islam si concepisce come «superiore», «compimento della rivelazione», «suggello della profezia». Il secondo è l'ideologia del globalismo che si traduce nel promuovere un nuovo ordine mondiale sostanzialmente centralistico e autoritario, che prevarica fino ad annullare le specificità nazionali e le autonomie comunitarie. Il terzo è l'ideologia del buonismo che ci costringe a far prevalere le rivendicazioni altrui rispetto alla legittima salvaguardia del proprio bene, sfociando in particolar modo nell'immigrazionismo che ci impone di accogliere gli immigrati a prescindere dalle conseguenze nel nostro vissuto.
Il quarto è il moralismo che ignora e reprime la funzione naturale e la valenza positiva del sesso come parte integrante della nostra umanità, culminando nel crollo delle vocazioni sacerdotali e nella deriva della pedofilia in seno alla Chiesa, nel calo dei matrimoni sia religiosi sia civili anche per i costi economici, sociali e umani che comportano l'annullamento o il divorzio e, conseguentemente, nel declino dell'istituto della famiglia come pilastro della società e nel tracollo della natalità nei paesi europei a maggioranza cattolica.
Il quinto è la prevalenza della ragion di Stato che governa il Vaticano rispetto al Magistero universale della Chiesa, con ciò che comporta il condizionamento dei poteri finanziari e politici.
Il sesto è la scelta politica di schierarsi dalla parte di chi sta al potere, così come è recentemente accaduto con il sostegno pubblico e diretto al governo Monti, a dispetto del fatto che non abbia nulla a che fare con la Dottrina sociale della Chiesa.
Per aver espresso queste considerazioni, mi sono ritrovato violentemente attaccato da coloro che si concepiscono come fedelissimi della Chiesa e del Papa, ridotto a oggetto di linciaggio mediatico paragonabile a una versione virtuale dei tribunali dell'Inquisizione, condannato irrimediabilmente come Satana, Giuda, apostata, traditore, indemoniato, perfido, finto-cattolico dopo essere stato un finto-musulmano. Sentenze inappellabili accertate dalla citazione letterale della Bibbia e dei Vangeli.
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