Hanno tentato di dissuaderlo, spiegandogli che era meglio «prendere tempo», «non scoprire le carte» e, soprattutto, «non incendiare il clima». Ci hanno provato e non ci sono riusciti. Perché, seppure con quasi due ore di ritardo rispetto alla convocazione delle 17, alla fine Silvio Berlusconi si è presentato a Montecitorio per parlare ai gruppi parlamentari congiunti di Camera e Senato. Una situazione esplosiva, con buona pace delle colombe e di chi in queste ore sta tenendo un canale aperto con il Quirinale chiedendo a Giorgio Napolitano un intervento diretto. Ed è forse questa l'unica ragione per cui il Cavaliere è sì netto e tranchant nei suoi affondi, ma evita accuratamente - come forse avrebbe fatto e come è capitato in passato - di usare toni tanto incendiari da far irrimediabilmente saltare il banco. Perché se davvero c'è qualche speranza che dal Colle possa arrivare un provvedimento di grazia - ma Berlusconi non sembra crederci affatto - sarebbe stupido farla sfumare.
Certo, che nella sua testa la prima opzione sia il voto anticipato non lo nasconde a nessuno. Anzi, è così convinto che a Palazzo Grazioli si discute per tutto il giorno se organizzare una mobilitazione di piazza per domani a Roma, una sorta di apertura di fatto della campagna elettorale. Si ipotizza piazza del Popolo e si passa alla più piccola piazza Santi Apostoli davanti alle obiezioni dei coordinatori regionali del partito, preoccupati da un preavviso troppo breve oltre che dalle vacanze estive. Dovrebbe iniziare alle 18.30 e poi spostarsi sotto al Quirinale per sostenere la richiesta di grazia.
È questo, dunque, il termometro dell'aria che tira a Palazzo Grazioli. «Elezioni al più presto - è il ragionamento fatto in alcune delle riunioni della giornata - e, se necessario, con Marina in prima linea». Già, perché sarebbe proprio la figlia primogenita - come più volte ipotizzato, anche in questi ultimi giorni - a raccogliere il testimone nel caso il Cavaliere fosse incandidabile. Per due ragioni: perché è l'unica di cui davvero si fida fino in fondo e perché questo consentirebbe di mantenere sulla scheda elettorale la dicitura «Berlusconi presidente». Sempre che l'ex premier riesca a vincere la sua riluttanza a «buttare Marina nella mischia», con il rischio se non la certezza che «la procura di Milano inizierebbe ad occuparsi a tempo pieno anche di lei». L'argomento è oggetto di un lungo pranzo a via del Plebiscito cui partecipano tra gli altri Gianni Letta, Angelino Alfano, Denis Verdini, Renato Brunetta, Daniela Santanché, Marina e il secondogenito Piersilvio. E per tutta la giornata proseguono i gabinetti di guerra, con i figli di seconde nozze Eleonora e Luigi che anche loro arrivano a Palazzo Grazioli.
Chi ha occasione di vedere Berlusconi lo racconta piuttosto reattivo, decisamente più tonico di giovedì sera. Certamente nell'incontro con i deputati e i senatori è lui il più lucido di tutti, con alcuni ministri che arrivano a commuoversi e altri che non fanno che parlare al passato quasi si trattasse di un commiato.
Berlusconi no. Non ci pensa proprio. E - almeno al momento - ha in testa lo schema delle elezioni anticipate. Ecco perché i 97 deputati e i 91 senatori del Pdl rimettono il loro mandato nelle mani dei capigruppo di Camera e Senato Renato Brunetta e Renato Schifani. Perché è quello il primo passo per aprire una crisi e, in qualche modo, anestetizzare l'eventuale contromossa di Napolitano che a quel punto non potrebbe più dimettersi come aveva fatto trapelare alcuni mesi fa.
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