Milano - Alla fine, a restare con il cerino in mano sono in due: il re senza più trono della finanza rossa e il suo ex braccio destro. Giovanni Consorte e Ivano Sacchetti. Gli unici, nel processo d’appello per la tentata scalata di Unipol a Bnl, a uscire dall’aula con una condanna. È un cerino dimezzato, perché cade l’accusa di aggiotaggio e le pene vengono ridotte (un anno e 7 mesi a Consorte e un anno e mezzo a Sacchetti per insider trading e ostacolo all’autorità di vigilanza), ma la decisione presa dai giudici di secondo grado sembra riscrivere parte di quella storia che nel 2005 vide la piccola compagnia assicurativa bolognese tentare l’assalto al grande istituto bancario. Dei tredici imputati condannati in primo grado, infatti, ben undici vengono assolti.
Assolto l’ex governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio, assolti tra gli altri l’europarlamentare Vito Bonsignore (3 anni e 6 mesi in primo grado), gli immobiliaristi Danilo Coppola, Stefano Ricucci e Giuseppe Statuto (3 anni e 6 mesi), l’imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone (3 anni e 6 mesi) e l’attuale amministratore delegato di Unipol Carlo Cimbri (3 anni e 7 mesi). Assolti «perché il fatto non sussiste». Il significato di un simile ribaltamento lo spiegheranno le motivazioni della sentenza, ma è chiaro che l’uscita di scena dell’ex numero uno di via Nazionale e dei «contropattisti» (alcuni dei quali peraltro coinvolti anche nel processo Bpi-Antonveneta che si è concluso tre giorni fa) suona come una sonora bocciatura della ricostruzione fatta dai pm di Milano e accolta in sostanza dai giudici di primo grado, e sembra portare l’intera vicenda sotto un’ottica nuova. Non più una responsabilità trasversale spalmata sui molti attori che ebbero un ruolo nell’assalto fallito alla Banca nazionale del lavoro (oggi in mano ai francesi di Bnp), ma due protagonisti su tutti. Consorte e Sacchetti. Con il primo che - come raccontò in un’intervista avvelenata lo stesso ex numero uno della compagnia assicurativa - era legato a doppio filo alla Quercia di cui ristrutturò il debito («Il partito - spiegò - rischiava la bancarotta»), e ai suoi vertici («Le fondazioni Italianieuropei di D’Alema e Nens di Bersani sono state sponsorizzate dall’Unipol»). «Fassino, Sposetti, Latorre, D’Alema - disse ancora Consorte - erano interessati alla scalata della Bnl». Il tutto riassunto nell’ormai famoso «Abbiamo una banca?», incauto apprezzamento telefonico dell’allora segretario dei Democratici Piero Fassino.
«Non è intercorso alcun rapporto tra Unipol, i “contropattisti” e le banche popolari», ha spiegato ieri Consorte, che ha presentato una memoria scritta alla Corte d’Appello di Milano. E «non si capisce quindi a chi si riferisce la sentenza (di primo grado, ndr) quando parla di ristretta cerchia di soggetti, né come ci si sarebbe potuti muovere in piena identità di intenti e di scopi con soggetti che non erano conosciuti». Ora i giudici dovranno spiegare perché solo lui e il suo ex vice Sacchetti sono usciti dall’aula con una condanna sulle spalle. Nel frattempo, hanno ridotto la sanzione pecuniaria per Unipol (che è passata da 720mila a 420mila euro) e condannato al pagamento delle spese di giudizio la parte civile Bbva (il Banco di Bilbao, che nell’ipotesi dell’accusa sarebbe stato estromesso dall’acquisizione di Bnl attraverso la scalata pilotata della compagnia bolognese).
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