Le bugie dei De Benedetti: "Truccati i dati della centrale"

Il giudice accusa i vertici dell'impianto Tirreno Power di Vado di aver truccato i valori degli inquinanti: "Scelta gestionale volontaria. Conoscevano le potenzialità lesive dell'attività svolta"

Leggi il testo della sentenza del Tribunale di Milano n 8289/2017 che ha giudicato diffamatorio il presente articolo

Un delitto compiuto consapevolmente, truccando i dati sulle emissioni pur di mantenere in funzione le centrali a carbone di Vado Ligure. Un delitto compiuto dai vertici di Tirreno Power grazie alla oggettiva complicità delle amministrazioni pubbliche che hanno per anni e anni omesso i controlli cui erano tenute, tenendo per buoni i dati fasulli forniti dalla stessa società. Questo, per la procura di Savona e il giudice preliminare Fiorenza Giorgi, è il riassunto della cupa e indigesta storia della centrale di Vado Ligure, sequestrata due giorni fa. In quarantacinque pagine, il provvedimento del gip riassume per filo e per segno la storia di come la centrale abbia avvelenato una valle e ucciso centinaia di persone (343, nella meno grave delle ipotesi), sfociando in una tragedia ambientale e sanitaria di «dimensioni immani».

È un riassunto che sembra lasciare poco spazio alla difesa dei cinque manager della Tirreno Power finiti nel registro degli indagati. E che mette in una posizione imbarazzante i soci di Tirreno Power, ovvero i francesi di Gdf-Suez (che però sono arrivati pochi anni fa) e soprattutto la Cir, la holding della famiglia De Benedetti: che ora si ritrova a dover scegliere se prendere su di sé la responsabilità delle clamorose omissioni compiute dai manager della centrale, con tutte le conseguenze del caso: o se invece scaricare le colpe su di loro, col rischio che reagiscano chiamando in causa altri.

Se la gravità degli addebiti era in parte nota, a colpire è la decisione con cui il gip affronta il tema delle coperture di cui Tirreno Power ha goduto: «il gestore, certamente agevolato da una quasi assoluta carenza di controlli, ha di fatto violato la quasi totalità delle prescrizioni imposte (...) non può tacersi la circostanza che tutti i dati sono stati registrati e monitorati dal gestore in assoluta autonomia e nella totale carenza di controlli da parte delle autorità preposte; ed invero non vi è traccia del protocollo condiviso con le autorità di controllo locali (provincia di Savona) e/o Arpa Liguria, né di ispezioni effettuate da quest'ultime all'impianto ai fini di controllo di tale aspetto, previsto dai provvedimenti autorizzativi della centrale».

Insomma, alla centrale è stato permesso per anni di inquinare e causare morti sulla scorta di dati forniti dalla stessa Tirreno Power, e che al primo controllo si sono rivelati falsi: «i dati forniti dallo stesso gestore sono ritenuti inattendibili da tutti i consulenti del pm (...) i valori di concentrazione misurati manualmente risultano mediamente assai più alti di quelli contemporaneamente forniti dal sistema di monitoraggio».

Per valutare l'impatto delle emissioni di fumi, ma anche della polvere del carbone trasportato e stoccato a cielo aperto, i periti della procura hanno interrogato testimoni che non mentono: i licheni, i primi a soffrire per l'inquinamento, e che intorno alla centrale si sono diradati sino a sparire (la perizia parla di «deserto lichenico») e le cartelle cliniche dei malati e dei morti. Che le conseguenze siano stati devastanti non c'è dubbio: «Non può che concludersi nel senso che l'evidenziato incremento dell morbilità e della mortalità nelle aree di media e alta ricaduta delle emissioni della centrale rispetto alle aree di bassa ricaduta è certamente attribuibile all'esercizio della medesima centrale». Ancora: «deve ritenersi raggiunta la certezza processuale del nesso di causalità tra l'evidenziato aumento di morbilità mortalità e l'esercizio della centrale».

E la centrale di Vado continuava ancora fino al sequestro ad avvelenare l'intera zona, anche se mancano dati epidemiologici successivi dal 2011, dice il giudice: «Deve ritenersi provato, a fronte di valori emissivi sovrapponibili agli anni considerati, un danno alla salute (intendendosi per tale un aumento della mortalità e della morbilità) costante anche negli anni successivi a quelli oggetti di specifico esame». «Quanto sin qui evidenziato - dice il gip - induce a ritenere verificato un danno alla salute nelle aree di ricaduta della centrale di entità tale da integrare senza dubbio la nozione di disastro nonché un pericolo per la pubblica incolumità da individuarsi nel rischio di incremento di morbilità e mortalità correlato alla protrazione dell attività della centrale termoelettrica ai medesimi livelli emissivi mantenuti sino ad oggi».

Per questo, per fermare la strage, è stato necessario intervenire con la forza, e spegnere per legge i forni della centrale dei De Benedetti: «I dati riportati inducono a concludere che per ogni anno di funzionamento della centrale, a parità di emissioni, si avrà un aumento del numero di casi di ricoveri e di decessi sostanzialmente costante», scrive il giudice, parlando di «pericolo attuale per la pubblica incolumità».

Superficialità, caso? Niente di tutto questo, scrive il giudice, che parla esplicitamente di «precise scelte gestionali» della società: «La gestione dell'impianto a livelli nettamente superiori a quelli imposti dalle Bat (le migliori tecniche possibili, ndr) è certamente attribuibile ad una precisa scelta gestionale della società.

Tale scelta volontaria è stata adottata e tenuta nonostante la consapevolezza del danno arrecato all'ambiente e alle rilevanti dimensioni dello stesso», si legge a pagina 37 dell'ordinanza. Ed invero il gestore era certamente a conoscenza delle potenzialità lesive della attività svolta».

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