Caos marò, Terzi si dimette. E il Prof resta senza parole

Il ministro degli Esteri lascia a sorpresa nell'aula della Camera: "Ero contrario al ritorno dei fucilieri in India". Il premier: "Stupore". L'irritazione del Quirinale.SCRIVI AL GOVERNO

Caos marò, Terzi si dimette. E il Prof resta senza parole

Il caso marò è piombato come una bomba nel nuovo Parlamento. Il ministro degli Esteri, Giulio Terzi, si è dimesso in aula con un colpo ad effetto, che lo ha in parte riscattato da un anno di linea fallimentare e dall'ultima Caporetto indiana. Al suo fianco il ministro della Difesa, Giampaolo Di Paola, ha fatto la figura sbiadita dell'ammiraglio che scatta sull'attenti e difende ad oltranza il governo. Per poi ammantarsi di «eroismo» da ultimo moicano sostenendo che non abbandona la nave per rimanere al fianco dei marò.
Il presidente del Consiglio, Mario Monti, che ha deciso di rispedire in India Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, si presenterà alla Camera oggi alle 15 per rispondere sull'esplosiva vicenda. Il premier sostiene di aver appreso «con stupore delle dimissioni» ed è salito al Colle. Il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, che ha avuto un ruolo dietro le quinte nel voltafaccia sui marò si è detto «sconcertato» dalla mossa «irrituale» di Terzi.

Il pomeriggio di fuoco a Montecitorio si è aperto alle 15. Dagli scranni del governo Terzi affronta ben presto la fatale decisione di trattenere i marò in Italia allo scadere del permesso elettorale concesso dall'India. «È risibile e strumentale sostenere che la Farnesina ha agito per i fatti suoi» sostiene il ministro. L'8 marzo in una riunione con Difesa e Giustizia si decide «con l'assenso di tutti» di imboccare la strada del braccio di ferro facendo restare i marò in Italia ed invocando un arbitrato internazionale. La decisione viene presa «in costante coordinamento» tra la Farnesina e tutte le istituzioni interessate a cominciare da Palazzo Chigi. «La comunicazione scritta inviata al governo indiano» che informava del mancato rientro dei marò allo scadere del permesso, il 22 marzo, «è stata concordata con la Presidenza del Consiglio e tutti i ministri interessati».
Poi gli indiani trattengono il nostro ambasciatore. «In questo frangente di impasse diplomatico Delhi esprime minacce ritorsive menzionando anche quelle in campo economico» rivela Terzi. L'India fa «bau» e il governo Monti si piega.

A questo punto Terzi lancia l'affondo sui marò: «Ero contrario al loro ritorno in India, ma la mia voce è rimasta inascoltata». E aggiunge: «Non posso più far parte di questo governo». Infine spiega le motivazioni con parole di fuoco. «Mi dimetto perché ritengo che vada salvaguardata l'onorabilità del Paese, delle forze armate e della diplomazia italiana - sottolinea Terzi - Mi dimetto perché solidale con i nostri due marò e con le loro famiglie».
Il centrodestra chiede che Monti venga subito in Parlamento. Lapo Pistelli del Pd parla di «8 settembre del governo tecnico».

Il ministro della Difesa Di Paola prende subito le distanze: «Le valutazioni di Terzi non sono quelle del governo». L'ammiraglio la butta sul senso di disciplina: «Le decisioni collegiali si rispettano e si onorano, anche se lacerano. Per questo sono stato io a comunicare ai fucilieri di marina» di tornare in India. Di Paola fa addirittura riferimento all'ammiraglio Bergamini affondato dai tedeschi con la corazzata Roma nel 1943 richiamando lo spettro dell'8 settembre, che è stato paragonato alla farsa dei marò. Poi gioca la carta del comandante che non lascia i suoi uomini: «So quello che Massimiliano (Latorre) e Salvatore (Girone), guardandomi negli occhi, la sera del 21 marzo mi hanno detto: “non ci abbandonare”. Ed io non abbandono la nave in difficoltà».

Non spiega il vergognoso voltafaccia sui marò prima illusi di restare in Italia e poi rispediti

in India. E non molla: «Sarebbe facile per me annunciare di rimettere il mio mandato, sarebbe no cost lasciare la poltrona che comunque abbandonerò a breve, ma non sarebbe giusto e non lo farò».
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