Cari prof, sei ore di lavoro in più sarebbero una lezione di civiltà

I docenti sono scesi in piazza contro l'aumento a 24 ore a settimana. Ma le spese vanno ridotte, la scuola non è un ammortizzatore sociale

Cari prof, sei ore di lavoro in più sarebbero una lezione di civiltà

Cari professori delle scuole medie e superiori, ieri alcuni di voi sono scesi nelle piazze italiane in compagnia di una parte degli studenti al fine di protestare contro i tagli e contro un aumento delle ore di lavoro, che passerebbero da 18 a 24 settimanali (a stipendio invariato e in cambio di 15 giorni di ferie). È lo stesso orario già in vigore per i maestri delle elementari.

Secondo il sindacato, questa misura serve per abbattere posti di lavoro, perché quelle sei ore aggiuntive andrebbero a «coprire» le supplenze evitando così la chiamata dei precari in graduatoria. Secondo il ministro Profumo, tabelle alla mano, dovete invece impegnarvi di più, soprattutto fuori dalle classi. In Europa, sostiene il titolare del dicastero, un docente può avere un orario di 35 ore, come in Francia, o di 38 come in Spagna: la vostra produttività, in confronto, è bassa.

Insegnare è difficile, lo dico per esperienza diretta. È una professione nobile, implica conoscenza ma anche sensibilità nei rapporti umani. Quest'ultima non si impara all'università, ed è merce complicata da maneggiare: può fare male sia a chi dà i voti sia a chi li prende. In cattedra devi tenere conto di una miriade di fattori che sfuggono a chi osserva dall'esterno. Devi essere semplice, per farti capire da tutti, ma profondo, per non frustrare chi ha maggiore talento. Devi essere aggiornato. Devi mantenere un coerente metro di giudizio senza essere troppo rigido. Devi interpretare regolamenti ministeriali che sembrano scritti da analfabeti. Talvolta devi lottare anche contro famiglie iperprotettive. In cambio, ricevi un bonifico che, se hai davvero svolto la tua professione, è insoddisfacente. In fondo vali poco anche agli occhi della società, che ha distrutto il concetto stesso di autorità. Naturalmente, c'è anche tutto quello che viene prima di passare di ruolo. Il caos delle graduatorie, la burocrazia macchinosa, la paura di restare inoperoso troppo a lungo, l'ingegnarsi per mettere insieme il pranzo con la cena, le brevi supplenze tragicomiche in cui sei lo zimbello della classe, gli onerosi spostamenti in scuole lontane.

Come si esce da tutto questo? Le sei ore in più sono realmente una vessazione? In che modo si può arrivare a una retribuzione più ricca? Io credo che voi professori lo sappiate meglio di chiunque altro: i tagli sono necessari e devono essere accompagnati da riforme. Per anni c'è stato un tacito accordo tra la politica e il sindacato: poco lavoro, stipendi bassi, organici gonfiati. La scuola è stata utilizzata come ammortizzatore sociale e come bacino di consenso. È un luogo comune? Beh, è anche la verità. Voi avete visto i sindacalisti in azione: sono quelli che si battono nelle riunioni d'istituto per distribuire a pioggia, e non ai meritevoli, i pochi soldi a disposizione. Voi sapete che il problema del precariato, che pure è molto concreto, non è riassumibile nei soli termini che vengono presentati all'opinione pubblica da chi manifesta. Nelle graduatorie c'è anche chi rifiuta supplenze preziose per fare punteggio, chi svolge altre professioni, chi non accetterebbe mai un trasferimento in una città diversa dalla propria anche se fosse nelle condizioni di poterlo fare. Voi avete tra le mani programmi in cui si leggono castronerie incredibili. Ne ricordo uno, pieno di errori di ortografia, in cui si raccomandava di non insegnare le regole della grammatica, ma di far nascere nello studente la consapevolezza della loro esistenza. Un parto (in)naturale partorito da un «mago» della didattica.

Porre un freno alla spesa pubblica è indispensabile. La politica però deve anche offrire una prospettiva diversa per il futuro: reale autonomia degli istituti, centralità dell'insegnante nei programmi, adeguamento degli stipendi a seconda del merito, reclutamento per concorso, valorizzazione dell'istruzione paritaria. La maggior parte di voi, cari professori, queste cose le sa già.

Ma quelli scesi in piazza non si rendono conto che opporsi al cambiamento danneggia la scuola. Forse se gli obiettivi saranno chiari, sarà più facile convincere tutti che accettare i tagli, e sei ore di lavoro in più, è una lezione di responsabilità civile.

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