Casini archivia il Terzo polo: "È giunta l'ora di schierarsi"

Il leader dell'Udc ammette il fallimento del progetto centrista. Adesso è pronto a riallacciare i rapporti con il centrodestra

Casini archivia il Terzo polo: "È giunta l'ora di schierarsi"

Roma - «La riforma della legge elettorale asseconda un cambiamento dettato dalla politica: io ho lavorato sempre per fare un terzo polo, alla fine è arrivato Grillo e l'ha fatto lui il terzo polo alla faccia di Casini, di Monti e di tutti gli altri». Pier Ferdinando Casini, con un pizzico di autocritica, una aggiunta di realismo, un misurino di furbizia e una spruzzata di onestà intellettuale, decreta ufficialmente la fine della tentazione centrista e fa calare il sipario sulla eterna ricerca della Terra di Mezzo della politica italiana, specialità da lui frequentata con dedizione da quasi sei anni. «Il Terzo Polo è finito, ora bisogna schierarsi». Una affermazione neppure troppo carica di enfasi ma vissuta come la fotografia di una evidenza. Perché di restare ancorato a un'idea fallimentare, vestendo la divisa dell'ultimo giapponese, Casini non ha alcuna voglia. «Monti è stata l'ultima occasione, non è più tempo di accanimento terapeutico sul corpo del centrismo», ripete ai suoi. Certo a questa affermazione manca una postilla non trascurabile, ovvero con chi schierare il suo Udc. Ma per quello c'è tempo e non si può pretendere tutto e subito da chi come lui è stato allevato nella cultura delle «mani libere» di Arnaldo Forlani, maestro e mentore del giovane Casini, ed è stato abituato a soppesare per bene prezzo e calore dei due forni. La traiettoria di riavvicinamento verso il centrodestra sembra, però, segnata. E anche quei veti che si sentivano risuonare fino a qualche tempo fa sul centrodestra «deberlusconizzato» stanno perdendo di senso e di forza. Tanto più adesso che si fa strada una legge elettorale a forte ancoraggio bipolarista. «Fino al 2008 ho cercato di moderare il centrodestra dall'interno poi ho ritenuto più coerente una testimonianza solitaria. Ora siamo pronti ad assumerci la responsabilità di scegliere» disse nell'estate scorsa. Da allora il filo del dialogo non si è interrotto e il rapporto umano con Berlusconi è sempre rimasto su tonalità cordiali, con telefonate tra i due tutt'altro che sporadiche. D'altra parte la mediazione è da sempre nel suo Dna, così come il pragmatismo. La sua personale partita a scacchi è iniziata. Il primo test sarà quello delle Europee. Dopo aver inizialmente predicato realismo, alzando il pressing su Angelino Alfano per convincerlo a fare liste comuni, così da evitare possibili figuracce da mancato raggiungimento del 4%, ora ha interrotto il corteggiamento. Se Alfano vuole dimostrare di essere autosufficiente fa bene, è il ragionamento del leader Udc, in versione Pierfurby. «Certo», si ragiona in ambienti centristi, «i sondaggi in questa fase possono essere ingannevoli». Il messaggio è: lasciamo che Alfano maturi la consapevolezza della sua condizione, ci rivedremo più avanti. L'altra partita è quella della legge elettorale (curiosamente mentre Berlusconi e Renzi si vedevano al Nazareno per discutere del sistema spagnolo, Casini era ospite del premier iberico Rajoy) In questo caso la strategia non è quella della demonizzazione dello sbarramento del 5%. Piuttosto nel mirino c'è il ballottaggio. «È troppo bassa la soglia al 35% per accedere al premio di maggioranza. Bisogna tenere conto della sentenza della Consulta sul Porcellum».

In sostanza - è il sottotesto - bisogna fare in modo che il vincitore venga definito dal secondo turno in modo da moltiplicare il valore aggiunto e la forza contrattuale dei piccoli partiti. Un antidoto contro la marginalità e un viatico per provare e meritarsi l'appellativo più ambito: quello di ago della bilancia.

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