Roma - È proprio vero: il potere trasforma le persone. Non solo esteticamente, ma anche nell'intimo delle proprie convinzioni morali. E il premier Matteo Renzi non fa eccezione a questa regola. Fintantoché il suo ruolo era quello del «Pierino» che tirava i calci negli stinchi ai rottamandi del Pd e del governo (i vari Enrico Letta e D'Alema) qualsiasi nuova tassa l'esecutivo intendesse varare veniva definita una «porcata». Ora che a Palazzo Chigi c'è lui in persona, il profilo è molto più basso anche in tema di tassazione. Poco importa, quindi, che 200 milioni possano essere spremuti da chi compra smartphone, tablet e personal computer.
Certo, a Renzi mettere la faccia su questioni che incidono in negativo sulle tasche dei consumatori non piace. Meglio mandare avanti qualcun altro e, in questo caso, l'ingrato compito è toccato al ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini. Il tema non è nuovo per il lettori del Giornale: si tratta dell'equo compenso dovuto alla Siae dai produttori di supporti digitali. In pratica quando si acquista un cellulare, un tablet, un pc o un altro supporto di memoria si paga dal 2009 una quota fissa alla società (statale) degli autori ed editori per le copie private (di canzoni, film, libri, ecc.) che su quel dispositivo verranno copiati.
La tabella dell'equo compenso doveva essere aggiornata già dal 2012, ma il governo Monti era in tutt'altre faccende affaccendato e così la patata bollente era passata alla fine del 2013 nelle mani di Enrico Letta e del predecessore di Franceschini, il dalemiano Massimo Bray. A febbraio era tutto pronto: il decreto avrebbe accolto i desiderata della Siae guidata da Gino Paoli (sì, proprio lui). La gabella sugli smartphone sarebbe passata da 0,9 a 5,2 euro (+478%); idem per i tablet (da 1,9 a 5,2 euro) e per le smart tv (da zero a 5 euro). Sui computer il balzello sarebbe salito a 6 euro (da 1,9 per quelli senza masterizzatore e da 2,4 per quelli con), mentre il prelievo sulle memorie portatili come le chiavette Usb sarebbe quasi raddoppiato (da 0,5 a 0,9 euro per Gigabyte). Un totale, come detto, da quasi 200 milioni, più che doppio rispetto all'attuale prelievo. Una stangata da realizzarsi in tempi di crisi e, per altro, in un mercato non competitivo come quello italiano dove l'acquisto di un iPhone senza sostegno dell'operatore è più oneroso che altrove.
Ma tant'è. Il ministro Dario Franceschini ha sfidato il Parlamento (a parte la sinistra Pd, sul tema la maggioranza è la divisa) e ha sentenziato: «L'equo compenso verrà aggiornato. Faremo un tavolo con tutte le parti interessate e poi prenderò una decisione. Probabilmente mi prenderò fischi da tutti». Intanto alle interrogazioni scettiche di Scelta Civica ha mandato a rispondere il sottosegretario alla Giustizia, Enrico Costa. L'appuntamento con Siae e Confindustria Digitale è fissato per il 23 aprile. Poi sarà quel che sarà. L'industria dei media punta molto sull'aggiornamento al rialzo delle tabelle perché consente di recuperare qualcosa in un contesto non proprio roseo per i ricavi nel quale i download illegali su internet rappresentano la bestia nera. Eppure una recentissima sentenza della Corte di Giustizia Ue ha stabilito che l'equo compenso non può surrogare una sorta di risarcimento della pirateria.
«Il ministro ha detto che ascolterà le ragioni di tutte le parti in causa». Cristiano Radaelli, presidente di Anitec (l'associazione delle aziende di informatica e tlc) e vicepresidente di Confindustria Digitale, non si abbandona allo scoramento. Ma fissa paletti ben precisi.
«L'utilizzo e la riproduzione di un'opera d'ingegno devono essere ricompresi nel suo prezzo senza ricadere sui consumatori che acquistano un supporto digitale», aggiunge. Qualche mese fa la pensava così anche il senatore renziano Andrea Marcucci. «L'Italia ha bisogno di più digitale a prezzi accessibili», dichiarò. Oggi avrà cambiato verso anche lui.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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