Marina: "Sentenza già scritta, non è giustizia"

La delusione della figlia del Cavaliere: "Processo usato per sfregiare il nemico politico"

Marina: "Sentenza già scritta, non è giustizia"

«Non chiamiamola sentenza. Non chiamiamolo processo. Soprattutto, non chiamiamola giustizia». Comincia così, con queste amarissime parole, la nota di Marina Berlusconi in difesa di suo padre. Non uno sterile comunicato e non soltanto il comprensibile sfogo di una figlia costretta ad assistere all'ennesimo, violentissimo attacco contro chi le ha insegnato il rispetto degli altri, la libera dialettica democratica, fatta di confronto e non di scontro, e il mestiere di imprenditore.

La fotografia sconsolata e, al tempo stesso drammaticamente realistica, di una macchina giudiziaria, sempre quella, che si muove per colpire e annientare chi decide di non cantare nel coro della sinistra. «Quello cui abbiamo dovuto assistere è uno spettacolo assurdo che con la giustizia nulla ha a che vedere, uno spettacolo che la giustizia non si merita. La condanna - scrive Marina - era scritta fin dall'inizio, nel copione messo in scena dalla Procura di Milano. Mio padre non poteva non essere condannato. Ma se possibile il Tribunale è andato ancora più in là, superando le richieste dell'accusa e additando come spergiuri tutti i testi in contrasto con il suo teorema».

E a lei si unisce Pier Silvio: «In tutti questi anni, non ho mai commentato le tante ingiustizie subite da mio padre. Ma questa volta non posso tacere - attacca - Non pretendo che tutti conoscano mio padre dal lato umano. Ma posso assicurare che questa condanna è assurda: quello di cui l'accusano, e lo dico con tanta rabbia e con le lacrime agli occhi, è quanto di più lontano e contrario dall'uomo che è».

Ricostruendo i fatti, e soprattutto i passaggi di tutto l'iter delle indagini, compiute con una meticolosità, quanto meno sospetta, Marina sottolinea come: «Non ha alcuna importanza che dopo anni incredibilmente passati a spiare dal buco della serratura non siano riusciti a trovare nulla, perché nulla c'era da trovare. Nessun reato, nessun testimone, nessuna prova, nessun movente, nessuna vittima. Non ha alcuna importanza tutto ciò, perché questo processo è stato concepito per essere celebrato sulle pagine dei giornali e nei talk show, per sfregiare l'uomo individuato come il nemico politico da demolire e non per stabilire la verità dei fatti».

Fino alle conclusioni, se possibile ancora più amare, ma che caratterizzano questa vicenda surreale e fors'anche, a questo punto, un processo surreale, come sarebbe lecito ipotizzare, considerata la scansione degli avvenimenti, orchestrato per uno scopo ben preciso, come tiene a evidenziare Marina Berlusconi nel suo scritto: «Per raggiungere il loro obiettivo hanno dovuto anche inventarsi un imputato che non esiste: è forse la cosa più inaccettabile il veder descrivere mio padre

nel modo più lontano da quello che lui è per davvero, un modo diametralmente opposto. Tutto il castello crollerà, è certo, la verità verrà ristabilita, ma questo non basta in alcun modo a mitigare l'amarezza e lo sdegno».

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