Caso Ruby, la Boccassini non aveva la titolarità a indagare

Pur non essendo assegnataria del fascicolo su Ruby la pm Boccassini interrogò il capo gabinetto della Questura, Piero Ostuni, e Giorgia Iafrate, la funzionaria di polizia che affidò Ruby a Nicole Minetti

Caso Ruby, la Boccassini non aveva la titolarità a indagare

Ilda Boccassini "non aveva titolarità" per interrogare Piero Ostuni (all’epoca capo di gabinetto della questura di Milano) e Giorgia Iafrate (la funzionaria di polizia che affidò Ruby a Nicole Minetti) nell’ambito della vicenda Ruby. L'ha detto il pg di Milano, Manlio Minale, nel corso della sua audizione al Csm del 14 aprile scorso, davanti alla prima e alla settima commissione che hanno avviato un’indagine a seguito dell’esposto presentato dall’aggiunto Alfredo Robledo su presunte irregolarità alla Procura di Milano.

"I magistrati sostituti trascinano i procedimenti - afferma Minale, in riferimento al fatto che il pm Sangermano, titolare del fascicolo Ruby, passò dal pool guidato dall’aggiunto Nobili a quello della Boccassini - ma se sono di materia specializzata devono riferire al loro che è addirittura il procuratore aggiunto di riferimento che mette il visto".

Quindi, Ilda Boccassini "non essendoci stata un’assegnazione diretta fino al provvedimento di iscrizione dobbiamo ritenerla non assegnataria di quel procedimento, sempre che - aggiunge Minale - non si ritenga che il procuratore, annotando 'procedimento assegnato a Boccassini, Forno e Sangermano', nel dicembre 2010, al momento dell’iscrizione del reato di concussione, "non abbia voluto coprire, sanare la precedente situazione". Secondo il pg "è un punto che fino a quel provvedimento di iscrizione la collega Boccassini non era assegnataria perché si è inserita, ha ritenuto di assistere, di lavorare insieme al sostituto che era del suo dipartimento ma in un procedimento che non era di Dda".

"Quanto sta emergendo dal procedimento del Csm sulla spaccatura interna alla Procura di Milano - sottolinea Luca D’Alessandro, deputato di Forza Italia e segretario della commissione Giustizia della Camera - è un intreccio di irregolarità, abusi, favoritismi e forzature che dimostrano come fosse in vita una Procura nella Procura che aveva lo scopo esclusivo di colpire Silvio Berlusconi. Sembra quasi - aggiunge - che secondo il capo degli inquirenti, Edmondo Bruti Liberati, vi fossero magistrati più magistrati di altri specializzati nella caccia sistematica al leader di Forza Italia e del centrodestra". "Le parole del dottor Minale - prosegue D'Alessandro - rappresentano la prova regina di questo desolante e inquietante quadro, dove pubblici ministeri avrebbero condotto indagini e interrogato testimoni senza neanche averne la titolarità, con la forza esclusiva derivante dal nome che portano e dai galloni e le mostrine conquistate sul campo in qualità di braccio armato della sinistra.

Auspichiamo - conclude - che almeno per una volta il Consiglio superiore della magistratura sappia mettere da parte il suo corporativismo dilagante e il timore reverenziale verso l’ufficio giudiziario milanese per intervenire in modo chiaro, netto e severo".

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