La Cassazione non ha fretta quando giudica De Benedetti

Il Gruppo Espresso condannato a versare fino a 360 milioni di euro al fisco. Ma il ricorso presso la Suprema corte giace in un cassetto da un anno e 4 mesi

La Cassazione non ha fretta quando giudica De Benedetti

Quattrocentottantacinque giorni. Un anno e quattro mesi circa. È dal 28 giugno del 2012, infatti, che a Roma in Corte di Cassazione pende il ricorso del gruppo Espresso, presieduto dall'ingegner Carlo De Benedetti, contro una sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio che lo condanna al pagamento di 225 milioni (per il quale è stata ottenuta una sospensiva) per la mancata dichiarazione di plusvalenze realizzate nell'ambito della quotazione in Borsa di Repubblica nel 1991. Nel bilancio al 30 giugno 2013 dell'Espresso è già stanziato un accantonamento di 34,3 milioni allo scopo a fronte di un rischio massimo di 359,7 milioni tra maggiori imposte, interessi legali e sanzioni (il ricorso comprende anche una vertenza su benefici fiscali da operazioni di usufrutto azionario con soggetti esteri).

La vicenda si trascina tra Commissioni e Cassazione da oltre vent'anni. Ma perché da 485 giorni la suprema corte non fissa l'udienza? «Ci vogliono oltre tre anni per discutere un ricorso», ci spiega l'avvocato Giuseppe Marino, tributarista e cassazionista ma soprattutto allievo di Livia Salvini, legale dell'Espresso nella vertenza. Si può ben utilizzare, quindi, l'espressione «a tempo di record» per la sentenza che - a distanza di due anni dall'appello - ha bocciato il ricorso Fininvest sul Lodo Mondadori consegnando all'Ingegnere ben 540 milioni. Le statistiche 2012 della Cassazione, infatti, indicano in circa 36 mesi il tempo per avere soddisfazione sui ricorsi tributari. Il 75% dei giudizi civili l'anno scorso ha riguardato atti depositati 2 anni prima e oltre.

«I giudici della tributaria sono solo 24 e hanno un arretrato di 30mila cause cui ogni anno se ne aggiungono 9mila, adesso sono arrivati alla fine del 2009», aggiunge Marino. E il gruppo Espresso non ha fretta di pagare visto che nelle note al bilancio giudica come «probabile» e «possibile» la soccombenza sulle due controversie.

Qui finisce la parte «tecnica» e comincia quella «politica». In Cassazione una causa procede speditamente se il relatore cui è affidata vi vede particolari motivi di urgenza come la manifesta fondatezza o infondatezza del ricorso. Se ciò non accade, ci sarebbe la possibilità per il presidente della sezione di organizzare il lavoro anticipando la trattazione di cause più rilevanti. Non tanto per i 350 milioni in ballo (la Cassazione non guarda agli importi: il 70% delle cause tributarie ha valore inferiore a 20mila euro), ma per il profilo giurisprudenziale. L'avvocato di De Benedetti, Livia Salvini, aveva biasimato l'intento della Commissione tributaria e dell'Agenzia delle Entrate di «sindacare le scelte economiche». Magistrati che mettono in discussione le libertà costituzionali, forse l'aveva detto anche qualcun'altro.

L'Agenzia delle Entrate, fanno notare altri fonti legali, avrebbe potuto «spingere» per un'accelerazione del dossier mediante l'Avvocatura dello Stato. Anche perché sarebbe suo interesse recuperare quei 225 (o 359) milioni.

E, invece, lo zelo è inferiore a quello esplicato nei controlli a sorpresa sui possessori di Suv. Certo, il gruppo Espresso ha lamentato di non aver avuto accesso al condono sulle liti pendenti ultradecennali come la «gemella» Mondadori. Ma è altrettanto vero che da 485 giorni per l'Ingegnere è tutto fermo.

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