Il Cav: «È colpa di Bersani Pensa al Pd, non al Paese»

Il Cav oggi al Colle per le consultazioni: "Da Bersani neanche una telefonata e poi pretende i nostri voti". E avvisa: "Se il loro obiettivo è la mia testa allora si torni alle urne"

Il Cav: «È colpa di Bersani Pensa al Pd, non al Paese»

Che il clima fosse esplosivo lo si era iniziato a capire verso metà pomeriggio. Qualche ora prima dell'arrivo di Bersani al Quirinale, infatti, Berlusconi aveva già messo in agenda di rientrare a Roma nella prima mattina di oggi, situazione decisamente inusuale trattandosi di un venerdì santo. Evidentemente, già prima che iniziasse il faccia a faccia tra il segretario del Pd e il capo dello Stato i contatti in corso avevano lasciato intendere che il Colle non ha alcuna intenzione di scavallare Pasqua. Rapido giro di consultazioni oggi, dunque. Con la delegazione congiunta di Pdl e Lega che sarà guidata dal Cavaliere, segno che l'ex premier vuole giocare la partita in prima persona. Per ribadire anche a Napolitano quanto detto al presidente incaricato in questi giorni. «La nostra linea è stata costruttiva e non cambierà», twitta a sera Alfano. Che aggiunge: «Bersani non è uscito dal vicolo cieco. Dobbiamo evitare che in quel vicolo finisca l'Italia. Domani incontreremo fiduciosi il presidente Napolitano».
Nella sostanza, insomma, Berlusconi è deciso a tirare dritto e non concedere nulla. Perché - ripete ai suoi - il problema non siamo noi ma la conventio ad excludendum di Bersani. Nonostante il ruolo di presidente incaricato - attacca il Cavaliere - ha continuato a comportarsi da segretario del Pd, trattandoci come appestati al punto di non farmi neanche una telefonata. «Non ha il tempo o la voglia di chiamarmi - aggiunge - eppoi si presta a quella penosa scena in diretta web con i capigruppo del M5S». Eppoi, insiste, «ha la pretesa di volere i nostri voti per dar vita al suo governo senza alcuna garanzia in cambio». «In-cre-di-bi-le», scandisce al suo interlocutore Berlusconi. Che considera Bersani «l'unico responsabile di questa situazione» perché «ha il grande torto di occuparsi solo degli interessi del Pd e non di quelli del Paese».
È ovvio che in questa situazione Berlusconi mai avrebbe potuto cedere. Anche perché qualche ammorbidimento dal Pdl c'è stato. Se inizialmente la posizione era quella di voler indicare Gianni Letta al Quirinale, a ieri si era arrivati ad una soluzione più soft: faccia il Pd una rosa di papabili di area centrodestra e il Pdl indicherà quello che gli è più gradito. Ma anche su questo - racconta chi ieri è stato in contatto con Arcore - la chiusura di Bersani è stata categorica.
Anche a Napolitano, dunque, oggi sarà ribadito lo stesso schema: o governo di larghe intese con dentro esponenti politici o l'intesa sul Quirinale. D'altra parte, è il ragionamento del Cavaliere, qualunque esecutivo senza il Pdl dentro o qualunque capo dello Stato indicato solo da Pd e Sel non farebbero altro che cercare di chiudere il ventennio berlusconiano: incandidabilità, conflitto d'interessi e chi più ne ha più ne metta. È questo il clima se Bersani sta finendo per andare a sbattere pur di non aprire uno spiraglio al Pdl. «Farebbero di tutto per farmi fuori, anche fisicamente», ripete in privato Berlusconi.
Ecco perché o dalle trattative l'ex premier può spuntare qualcosa di serio oppure è meglio niente. E se dovesse nascere un governo di minoranza il Pdl farebbe opposizione permanente, altrimenti subito al voto. Non è un caso che Berlusconi stia organizzando nel dettaglio la manifestazione del 13 aprile a Bari. L'obiettivo è raggiungere le 40mila presenze e «dimostrare che l'onda di piazza del Popolo non si ferma». Con un dettaglio.

A chi consigliava di tornare in piazza un po' più in là, magari a marzo, anche per avere più tempo per organizzarsi il Cavaliere ha risposto in maniera piuttosto eloquente: il 13 aprile va benissimo, dopo qualche giorno iniziano le votazioni del Parlamento per l'elezione del presidente della Repubblica. «Rappresentiamo un terzo dell'elettorato - spiegava qualche giorno fa Berlusconi - e se non vogliono farci dire la nostra durante il voto in Parlamento allora lo faremo in piazza».

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