È stato più forte di lui. E alla fine Silvio Berlusconi ha deciso di rompere il silenzio che gli avevano imposto in questi giorni gli avvocati. Niente attacchi alla magistratura e nessun riferimento a quello che più volte ha definito un «accerchiamento delle procure» e un «tentativo di golpe giudiziario», è vero. Ma comunque il senso del colloquio con il direttore di Libero Maurizio Belpietro è chiaro e allo stesso tempo dirompente. Perché il Cavaliere lascia intendere che non farà sconti e che se alla fine la Cassazione deciderà di confermare la sentenza sui diritti tv Mediaset tutti dovranno «assumersi le loro responsabilità».
È questo il senso di dire che nel caso di condanna «andrò in carcere lo stesso». Perché è chiaro che un Berlusconi davvero dietro le sbarre non è un problema solo per Berlusconi o per il centrodestra, ma lo è anche per il Pd e per tutto il Paese. Al di là dell'effettiva volontà dell'ex premier, infatti, la tenuta del governo sarebbe di fatto messa in discussione: sul fronte Pdl dalla prevedibile alzata di scudi di via dell'Umiltà, con tanto di dimissioni in blocco di deputati e senatori, ma - a questo punto - anche dei ministri; sul fronte Pd dallo strappo interno ai Democratici, con una consistente fetta del partito che punterebbe il dito contro un Enrico Letta che governa con un «condannato». Senza considerare che un Berlusconi davvero in carcere porterebbe l'Italia sulle prime pagine di tutti i giornali stranieri, riportando sotto i riflettori lo scontro tra giustizia e politica che è ormai una delle eterne anomalie italiane.
È per tutte queste ragioni, insomma, che il Cavaliere ci tiene a dire che non ci saranno scorciatoie perché «non accetterò di essere affidato ai servizi sociali come un criminale che va rieducato». Un affondo duro, tanto che di prima mattina Paolo Bonaiuti non è l'unico a saltare dal letto. E dopo qualche telefonata tra Roma e Arcore arriva la smentita di Palazzo Grazioli che derubrica il tutto a un «colloquio liberamente interpretato». D'altra parte, l'uscita del Cavaliere è quanto di più lontano ci sia dalla linea del low profile imposta dal cassazionista Franco Coppi non solo a Berlusconi ma pure a tutti i parlamentari del Pdl che non a caso nelle ultime settimane sono stati stranamente silenziosi sul fronte giustizia.
Non a caso, ieri si sono ricominciati a sentire i cosiddetti falchi. A partire da Daniela Santanchè - che considera un'eventuale condanna come un «attentato alla democrazia» ed è pronta alla piazza - fino al sottosegretario Michaela Biancofiore passando per Mariastella Gelmini.
Tacciono, invece, tutti i ministeriali. In un momento, peraltro, in cui si è riaccesa la tensione tra falchi e colombe, visto che tra i primi più d'uno sostiene che ci sia chi non si straccerebbe le vesti nel caso di condanna del Cavaliere. Che nel colloquio con Belpietro assicura: «Non farò l'esule, come fu costretto a fare Bettino Craxi. Né accetterò di essere affidato ai servizi sociali, come un criminale che deve essere rieducato. Ho quasi 78 anni e avrei diritto ai domiciliari, ma se mi condannano, se si assumono questa responsabilità, andrò in carcere». E ancora: «Non ho dormito per un mese. La notte mi svegliavo e guardavo il soffitto, ripensando a quello che mi hanno fatto. In pochi mesi otto pronunciamenti contro di me.
I diritti Mediaset, Ruby, la telefonata Fassino-Consorte, gli alimenti alla mia ex moglie, le richieste dei pm di Napoli e Bari, la decisione della Consulta sul legittimo impedimento, il respingimento della richiesta di trasferire a Brescia il processo per le cene di Arcore, l'abnorme risarcimento a De Benedetti».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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