Il Cav tradito dalla parodia Dc Ma l'urna avrà l'ultima parola

Il grande inganno della stabilità èservito solo per ottenere la fiducia Il partito ministeriale con la sua scelta ha ratificato l’ingiustizia

Il Cav tradito dalla parodia Dc Ma l'urna avrà l'ultima parola

Non c’è bisogno di es­sere satiri per patire la solitudine. Basta avere intorno a sé i ruderi di un partito che è stato importante; basta una condan­na da scontare e temere di rice­verne altre. Non frequento le di­more di Silvio Berlusconi e igno­ro ciò che vi accade in questi giorni funesti. Posso solo imma­ginarlo e rabbrividire. Quando un uomo cade in disgrazia per vari motivi, i suoi amici sono meno amici, cambiano espres­sione, qualcuno diventa antipa­tico, altri fastidiosi. Quelli poi che si offrono volontari per dar­gli una mano senza sapere co­me, sarebbero da prendere a pe­date. Suppongo che il Cavalie­re abbia una gran voglia un senso al lavoro, alla cre­azione di ricchezza, alla gene­razione di lavoro e di impre­sa, tutte cose sepolte sotto la coltre dell’ideologia solidari­sta in grande spolvero. Altro che il governo, i ministri, la pubblica amministrazione. Viaggiamo verso il 140 per cento del debito pubblico cal­colato sul Pil, i governi sono curatori fallimentari. La poli­tica economica e finanziaria è eterodiretta, il suo centro sta sull’asse tra Francoforte e Ber­lino, e la politica fiscale è in larga misura obbligata: i go­verni italiani ormai servono araccontarcela sul cuneo fisca­le, sulla necessità di sollevare dall’oppressione fiscale chi la­vora e produce, imprenditori e lavoratori, ma è chiacchie­ra. La liberazione fiscale è fat­tibile solo se accompagnata da grandi riforme, radicali, ca­paci di restituire produttività e competitività al sistema, e di introdurre un regime di con­corre­nza che avrà le sue esclu­sioni e i suoi punti anche uma­namente critici al fine di gene­rare la grande inclusione del­la crescita economica, dello sviluppo. Se è per adorare Ma­donna povertà, preferisco il Papa, lo Stato pontificio. Per risolvere i problemi ci vorreb­bero borghesi non confindu­striali, leadership toste, non quarantenni democristiani. Comunque, staremo a vede­re.

Con la ricomposizione del partito ministeriale, che si è mostrato più forte sia della progettazione di leadership di un Renzi, con tutti i suoi di­fetti l’unico che prometta qualcosa di serio, sia del cari­sma di Berlusconi, offuscato e umiliato, quali che siano stati i suoi errori tattici, dal brivido di un piccolo potere da con­quistare e da tenersi stretto per farne non si sa che cosa, si è consumato un delitto con­tro la giustizia. La conseguen­za della fiducia a Letta è stata la sanzione che gli affari di Berlusconi sono cosa privata, che tra giustizia e politica non c’è problema, che la politica e le istituzioni non devono ri­bellarsi al prepotere venten­nale dei giudici e del loro parti­to, un’idea chiara che ormai hanno abbracciato sia un po­stcomunista ed ex magistrato come Violante sia il liberale Panebianco: basta abbando­nare Berlusconi al suo desti­no, e il gioco è fatto in nome di una nozione molto cinica di stabilità e di governabilità. Va bene, siamo realisti. Berlusco­ni ha portato il realismo a vet­te da commedia, ha fatto l’uo­mo di spettacolo, e si è rotto la testa. Quando e come la ferita si rimarginerà è questione aperta. Per adesso sanguina. Un Paese in cui passa l’idea grottesca che non c’è accani­mento giudiziario politicizza­to, con la sua saturazione me­diatica da regime politico tota­litario, e prepotere dei pm contro la divisione dei poteri, è un Paese che ha deciso di cre­dere a una grande menzogna. All’avanguardia della creduli­tà, per gola, stanno gli arcine­mici del berlusconismo, i gior­nali editi da un publisher di cit­tadinanza svizzera che si agi­tano contro la frode fiscale, i poteri forti delle procure, e il grande esercito dell’opportu­nismo di sempre. Manca all’appuntamento il popolo elettore, di cui si ha tut­tora una grande paura. La ba­stonatura di Berlusconi ha senso solo in riferimento a questa grande paura. Ora Let­ta e Alfano, i protagonisti di questa svolta fondata sulla ra­tifica dell’ingiustizia,dovran­no dimostrare di saper fare qualcosa. Ma lo spettro di Ber­lusconi non scomparirà tanto facilmente dai loro banchetti di stabilità e governabilità. Berlusconi aveva tenuta aper­ta nonostante tutto, nono­stante le sue follie, una con­traddizione felice, quella tra il conformismo rinunciatario e la pretesa di una rivoluzione di libertà e di spontaneità. La classe dirigente cosiddetta si rimette in ghingheri e grisa­glia, sa di parodia della Demo­crazia cristiana di un tempo, e sarà giudicata alla prova di ri­forme, a partire dalla giusti­zia, che rimettano a posto le cose devastate della lunga sta­gione del giustizialismo.

Il po­sto nella storia ce lo si conqui­sta non già mettendo insieme alla rinfusa i governativi sulla pelle di un «condannato defi­nitivo », ma risolvendo le gran­di questioni nazionali, prima tra tutte quella di un sistema penale piegato all’interesse e alla faziosità politica. Stare­mo a vedere. Nutriamo sfidu­cia.

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