Parroci, presidi, capiscout, presidenti di squadre di calcio, gestori di lunapark, primari di pediatria. Attenzione. Perché tra cinque giorni si abbatterà su di voi l'ultima follia legislativa compiuta in nome della sacrosanta caccia al pedofilo. Un pasticcio che dovrebbe dare a chiunque diriga organismi frequentati da bambini la possibilità di scovare i pervertiti che si annidano tra i propri dipendenti. Ma è un obbligo che nessuno, assolutamente nessuno, sarà in grado di rispettare. Perché un'altra legge che nessuno ha abolito vieta ciò che la nuova legge rende obbligatorio. E perché il ministero della Giustizia nn è in grado, e lo renderà noto ufficialmente nei prossimi giorni, di fare nulla per rendere attuabile il diktat. Così da lunedì prossimo chiunque, per lavoro, fede o passione stia a capo di una comunità avrà una scelta secca: o chiudere la baracca, o trovarsi fuori legge.
Il pasticcio prende forma il 28 febbraio scorso, quando il consiglio dei ministri vara il decreto legge numero 39 intitolato «Attuazione della direttiva 2011/93/UE relativa alla lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile». Causa nobile, indubbiamente. Il decreto aumenta le pene per i pedofili, aggiorna la normativa ai tempi, inasprisce le sanzioni per i maniaci via internet. E all'articolo 2 dà il via alla caccia al pedofilo. Partendo da un dato di fatto: spesso i pervertiti si nascondono tra chi è più vicino ai bambini, tra chi opera a diretto contatto con loro.
Le cronache pullulano di questi casi. Ed ecco quanto stabilisce il decreto: l'obbligo per chi dirige le strutture di chiedere il certificato penale dei suoi collaboratori. «Il certificato penale deve essere richiesto dal soggetto che intenda impiegare al lavoro una persona per lo svolgimento di attività professionali o attività volontarie organizzate che comportino contatti diretti e regolari con minori, al fine di verificare l'esistenza di condanne per taluno dei reati di cui agli articoli 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-quinquies e 609-undecies del codice penale», cioè tutti i reati di pornografia, prostituzione, adescamento e violenza ai danni di minori. Data di entrata in vigore, 6 aprile.
La norma riguarda un numero incalcolabile di italiani di entrambi i sessi: dagli allenatori di tutti gli sport, alle maestre, alle catechiste, e via enumerando. Se la legge obbligasse i diretti interessati a farsi consegnare il certificato, la conseguenza sarebbe semplicemente l'intasamento degli uffici del casellario giudiziario presso tutti i tribunali italiani. Ma la legge fa di più, e scarica sui datori di lavoro l'obbligo di chiedere ai tribunali il certificato. La Comunità europea, a dire il vero, era stata più blanda: i paesi erano vincolati a fare sì che i datori di lavoro «abbiano il diritto di chiedere informazioni» sui propri collaboratori. In Italia, il diritto è diventato un obbligo. E in questo modo è andato a sbattere frontalmente contro un altra norma: il divieto per i datori di lavoro di acquisire informazioni simili sui dipendenti.
Da giorni, gli uffici del casellario presso i tribunali italiani sono bombardati di richieste di aziende e enti di volontariato che chiedono come comportarsi. «E siccome non ne abbiamo la più pallida idea - racconta la cancelliera di un casellario - abbiamo chiesto istruzioni al casellario centrale. Ci hanno detto che il 7 aprile ci diranno qualcosa». Il casellario centrale ha sede in piazza di Firenze, a Roma: e da qui ieri spiegano al Giornale che «la situazione è complessa», e che l'unica cosa certa è che lunedì prossimo non si rilascerà niente. Anche perché tecnicamente il cervellone della giustizia non è in grado di emettere certificati penali parziali, dove compaiano solo alcuni reati e non altri. Quindi il datore di lavoro (o parroco, o presidente, eccetera) che ottenesse il certificato di un dipendente scoprirebbe anche tutti i fatti suoi, comprese condanne che nulla hanno a che fare con i ragazzini: se ha guidato una volta senza patente, se non ha pagato gli alimenti alla ex moglie, se vent'anni fa faceva parte di una banda armata. Fatti privati, coperti dalla privacy.
Così da Roma si ribadirà ai casellari locali che ai datori di lavoro non si può rilasciare alcunché.
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