In Italia un sacerdote su tre è straniero. Un dato significativo che inizia a «preoccupare» la Chiesa. Preoccupazione non è forse il termine più idoneo, ma certo in Vaticano la questione non viene sottovalutata. E per comprenderlo basta leggere con attenzione alcuni passaggi-chiave di una circolare del segretario generale della Cei giunta sul tavolo di tutte le diocesi. Quella di Padova, ad esempio, in un articolo pubblicato sul suo sito, sintetizza al meglio le contraddizioni che questa sorta di immigrazione ecclesiastica sta determinando nelle nostre comunità cristiane: «Preti stranieri, risorsa e problema per la Chiesa italiana - si legge nella rubrica «Pastorale» a firma di don Mauro Pizzighini -. Risorsa, perché essi arricchiscono la pastorale del nostro Paese come frutto di scambio tra Chiese sorelle, e problema, per la difficoltà di ambientamento e inculturazione che si portano dietro». «Inculturazione». Un termine difficile che molti parrocchiano traducono - semplificando - in «mancanza di dialogo», «incomprensione», «difficoltà nell'instaurare un proficuo percorso di fede». Può accadere infatti che dai Paesi del Terzo Mondo arrivino preti e suore che, per problemi di lingua e cultura, abbiano problemi nell'approcciare il vissuto religioso della loro nuova realtà apostolica. Lì dove a celebrare messa è un religioso straniero spesso il flusso dei fedeli risulta in lento ma costante calo; non si tratta ovviamente di «razzismo», anche perché, in alcuni casi, i preti «extracomunitari» vengono profondamente amati dai loro parrocchiani. Ma può accadere anche il contrario, soprattutto se il trend dei presbiteri «globalizzati» rischia di divenire quantitativamente sempre più significitivo, snaturando vecchi equilibri. E i dati ufficiali sembrano andare esattamente in questa direzione. Le cifre fornite dalla Conferenza Episcopale parlano di oltre tremila presbiteri stranieri attualmente in servizio pastorale presso le diocesi italiane e posti in carico all'Istituto per il sostentamento per il clero. Altri numeri che possono aiutarci a capire meglio il fenomeno: le diocesi interessate alle convenzioni con sacerdoti stranieri sono circa 160 su un totale di 226, quindi ben più della metà; senza contare che questa statistica non include quelli che sono presenti in Italia unicamente per motivi di studio. La circolare dei vescovi ricorda inoltre come il «44% dei religiosi in servizio nel nostro Paese provenga dall'Africa, il 22% dall'Europa, il 20% dall'America Latina e il 14% dall'Asia-Oceania». Nel quinquennio 2005-2010 - riporta ancora lo screening della diocesi padovana - il numero dei preti stranieri è aumentato complessivamente del 28,3% (oggi siamo n oltre il 30% ndr)». Le regioni che hanno più del 12% dei preti stranieri sono il Lazio, l'Abruzzo, il Molise, l'Umbria e la Tiscana; la quota minore - tra l'1 e il 2% - si trova invece in Lombardia e Veneto, benché anche non manchino i segnali di un'inversione di marcia. La circolare dello scorso 15 marzo, a firma del segretario generale Cei, mons.
Mariano Crociata, tenta di fare un po' d'ordine nell'ambiente dei preti «globetrotter»: «La missione pastorale del sacerdote accolto per una comunità etnica dev'essere definita in modo puntuale, evitando il rischio di un impegno occasionale o limitato a una sorta di fenomeno rinnovato di clerici vagantes, che curino soltanto l'aspetto celebrativo e sacramentale dei connazionali, a scapito di un cammino di evangelizzazione e di iniziazione cristiana». «Un monito - è la conclusione tratta dalla diocesi di Padova - per non colmare automaticamente la crisi di vocazioni e l'assenza di preti italiani con la presenza di preti stranieri».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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