Chissà se Andy Warhol avrebbe mai immortalato una cialda di Coca Cola. Vada per la lattina, vada per la bottiglia, ma come la mettiamo con la cialda? Le icone del consumismo cambiano, e anche chi - come Wharol - fu il primo a trasformare il prodotto commerciale in prodotto artistico, oggi cederebbe forse al fascino invasivo della capsula. Non a caso un brillante gallerista, amante della Pop Art, come Raffaele Memoli, ha in serbo nella sua galleria milanese proprio una mostra dedicata ai nuovi simulacri modelle what else? Solo che qui non parliamo di tazzine di caffè ma di bicchieroni della bevanda cult (Coca Cola) e dei suoi cugini semi-cult (Sprite e Fanta).
Ora prendete i pop corn e tenetevi forte ai braccioli del divano. La notizia rischia infatti di gasarvi alla grande: la Coca Cola ha acquistato per 1,25 miliardi di dollari il 10% di Green Mountain Coffee Roasted, il produttore del caffè in capsule, e ha siglato un accordo di partnership decennale per lanciare un nuovo modo di consumare le bevande gassate. Occhio, che qui scoppia la bomba: l'intesa consentirà infatti di trasformare la Coca Cola, la Diet Cola, la Sprite e la Fanta (anche questi ultimi marchi di proprietà del colosso di Atlanta), in bevande da sorbire non solo in bottiglia e in lattina ma anche in capsula. Sì, avete capito bene. In pratica sarà possibile produrle direttamente in casa, o in ufficio con una macchina simile ai gasatori lanciati da SodaStream, una società israeliana che vende dispositivi per trasformare in soda l'acqua potabile.
Green Mountain è la maggiore catena che vende macchine per fare in casa caffè, the e cioccolato in capsule: ne possiede una il 13% delle famiglie americane; che però - sondaggi alla mano - sulla Coca Cola in cialde si sono mostrate alquanto scettici. Green Mountain ha siglato l'intesa con Coca Cola, ma senza legarsi in esclusiva, per cui potrebbe firmare accordi simili anche con altre ditte produttrici di bevande, inclusa la Pepsi, la quale l'anno scorso ha smentito i rumor di una scalata a SodaSteam. La cruenta - e mai conclusa - guerra tra Coca e Pepsi è destinata quindi a proseguire anche sul terreno delle capsule. Oltre che su quello di un'aneddotica che sa spesso di leggenda metropolitana. Come quella, ad esempio, che vorrebbe il mitico logo della Coca-Cola creato «con scarsa attenzione» (la definizione è di Wikipedia) nel 1886 dal contabile dell'azienda. Si narra poi che osservando la scritta Coca-Cola allo specchio sia possibile interpretare l'immagine come una frase in lingua araba che recherebbe un messaggio contro la cultura islamica, «No a Maometto, No alla Mecca, no alle preghiere». In realtà è improbabile che al momento della creazione del marchio si sia pensato di inserire un simile messaggio all'interno del logo. Anche il Grand Mufti Sheik Nasser Farid Wassel (la nostra fonte è sempre Wikipedia) ha commentato questi fatti facendo notare come tale marchio fu scritto in caratteri latini e non arabici più di un secolo fa; trattasi quindi di una diceria che ha soltanto danneggiato la multinazionale, con un forte calo delle vendite registrato in alcuni paesi islamici.
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