Doveva essere domani, mercoledì al massimo. Invece il faccia a faccia tra Berlusconi e Bersani rischia di andare per le lunghe. A fine settimana, se tutto va bene. Ma anche più in là, magari alla vigilia di quel 18 aprile in cui il Parlamento riunito in seduta comune inizierà le votazioni in seduta comune.
Le diplomazie, infatti, nonostante i problemi e le incomprensioni delle ultime ore continuano ad essere al lavoro, ma i tira e molla degli ultimi giorni non sembrano affatto risolutivi. Tutt'altro. Dopo alcuni giorni di vaga distensione, ieri s'è registrato l'ennesimo irrigidimento. Sul solito, prevedibile e scontato punto ormai determinante. Già, perché se sul fatto d'indicare un presidente della Repubblica condiviso l'accordo sembra ormai a un passo, il punto di caduta continua ad essere il governo. Il problema non è che sia o no sostenuto da Pd e Pdl, perché questo in chiaro oppure off the record è dato per acquisito da entrambi gli schieramenti. La discriminante, sulla quale pare che soprattutto ieri ci si sia azzuffati, è se i ministri del futuro esecutivo debbano o no essere espressione diretta dei partiti. Esponenti di Pd e Pdl, come vorrebbero a via dell'Umiltà, oppure solo tecnici d'area, come preferirebbero a largo del Nazareno. E qui sta la discriminante su cui ieri gli ambasciatori di Pd e Pdl hanno preso ad azzuffarsi.
Ecco perché, dopo almeno tre giorni di dialogo, ieri s'è registrato il primo, vero stop alla trattativa. Con anche le cosiddette «colombe» che hanno tirato i remi in barca. Una delle ragioni, è che l'interlocutore principale di Berlusconi non può che essere Bersani, il segretario del Pd. Il particolare non trascurabile è che la sua linea continua ad essere molto più rigida di quella che i pontieri disegnano agli «ambasciatori» del Pdl. Non che ad Arcore non sia stata data attenzione all'intervista «aperturista» del capogruppo democrat alla Camera Speranza. Ma poiché il diavolo è nei dettagli, ci sono troppe sfumature che ancora non convincono dalle parti di via dell'Umiltà. Perché, per dirla con la Gelmini, «se qualcuno nel Pd pensa che la responsabilità debba essere solo unilaterale ha proprio sbagliato indirizzo».
Insomma, dal punto di vista del Cavaliere, che spera di sfruttare il comune fronte anti-Renzi, il segretario del Pd non può permettersi di essere così choosy, perché si può pensare di trovare un nome comune di garanzia per il Quirinale ma non di delegittimare un partito che ha ottenuto il 30% dei consensi nella formazione del governo. «Con grande maturità aggiunge la Gelmini - il Pdl si è detto disposto a dialogare a patto che ci sia reciprocità: che cada dunque il veto anti-berlusconiano.
Solo se il presidente della Repubblica sarà eletto pescando dall'area moderata e sarà uomo di garanzia e solo se il Pdl farà parte a tutti gli effetti di un governo di larghe intese, allora sarà possibile evitare il voto».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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