Roma - Finanza rossa la trionferà. O quasi, viste le recenti disavventure del Monte dei Paschi di Siena targato Pd, che sono costate allo Stato italiano un prestito più o meno pari al gettito versato dagli italiani per l'Imu. Epperò il refrain fotografa quindici anni di rapporti poco chiari tra sinistra e poteri economici, iniziati più o meno dopo che la fine del Pci fece scoprire ai post-comunisti la bellezza del denaro. O meglio: permise loro di ammetterlo. Anche se all'occorrenza il segretario del Pd Pier Luigi Bersani può ancora fingere di scandalizzarsi come accadde qualche mese fa quando il suo avversario per le primarie di coalizione Matteo Renzi si trovò a cena con il mondo della finanza milanese grazie ai buoni uffici di Davide Serra, proprietario della Algebris Investments costituita nelle fiscalmente distratte isole Cayman.
Insomma, la vicenda senese è solo l'ultimo episodio della finanza creativa progressista. Che venne alla luce verso la fine degli anni Novanta, quando Romano Prodi da presidente del Consiglio non nascondeva le sue amicizie nel mondo della grandi banche (Gianni Bazoli, Corrado Passera, Alessandro Profumo) e il suo successore a Palazzo Chigi Massimo D'Alema nel 1999 guardava con simpatia alla scalata da parte del suo amico Roberto Colaninno e dei suoi «capitani coraggiosi» a Telecom. Sono gli anni in cui, come ricordava recentemente il sottosegretario all'Economia Gianfranco Polillo, in un'intervista ad Avvenire «Mps acquisisce la Banca agricola mantovana, nel cui cda sedevano Colaninno, Gnutti, Fiorani, Consorte». Gli anni in cui, ricorda ancora Polillo «Guido Rossi definisce Palazzo Chigi «l'unica merchant bank dove non si parla inglese».
Fino all'affaire Mps la vicenda più famosa e meno gloriosa di finanza rossa all'opera fu la scalata di Bnl operata nel 2005 dai «furbetti rossi» sulla quale Gianni Consorte, ex presidente dell'Unipol, la compagnia assicurativa «dei comunisti», ieri ha rivelato alcuni retroscena al Fatto Quotidiano. Come il patto, orchestrato da D'Alema e caldeggiato dall'allora segretario dei Ds Piero Fassino, per un'alleanza tra Monte dei Paschi di Siena e Unipol nella scalata a Bnl per formare il più grande gruppo bancario italiano all'ombra dell'allora Quercia. Un asse fallito, secondo Consorte, perché Siena disse no, poco convinta dai compagni di merenda di Consorte. Tutto peraltro confermato ai pm di Milano dall'allora governatore della Banca d'Italia Antonio Fazio, che raccontò: «Sono venuti da me Fassino e altri (ci sarebbe stato anche Bersani, ndr) a chiedere se si poteva fare una fusione Unipol-Bnl-Montepaschi». Un'operazione poi naufragata, anche se rimasta nella storia per la telefonata tra lo stesso Consorte e Fassino nel corso della quale quest'ultimo non stava nella pelle: «Allora? Siamo padroni di una banca?».
Ma la vera rivoluzione finanziaria a sinistra riguarda l'architrave economica della sinistra italiana: le cooperative. Protagoniste di una trasformazione epocale che ha portato le coop rosse da presidio del capitalismo pane-e-salame alla santa alleanza con quelle bianche di Confocooperative per formare un blocco di potere che dà 1,4 milioni di posti di lavoro (fonte Censis) e fattura 140 miliardi di euro all'anno, ignorando ogni crisi.
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