Roma - D'accordo: quella macchina da debiti che si chiama Campidoglio Ignazio Marino da Genova la guida da meno di un anno. E le responsabilità di un buco che si fatica perfino a mappare (uno studio di Ernst & Young parla di un disavanzo strutturale di circa 1,2 miliardi l'anno) è sua quanto dei suoi predecessori, quasi tutti di centrosinistra. E Roma ha un numero di dipendenti pari agli abitanti di Benevento (62mila). Epperò spulciando tra i conti dell'amministrazione Marino si trovano voci a dir poco discutibili. Che certo non sono la causa del debito a nove zeri. Ma uno schiaffo alla coerenza sì.
Prendete i consulenti. Marino ha inzeppato il suo staff con 75 esterni nel suo staff. In mezzo vecchi politicanti come Enzo Foschi (capo della segreteria a 114.282 euro l'anno), giornalisti come Chiara Romanello (ufficio stampa, 109mila) e l'evidentemente taumaturgico Francesco Piazza, che per lavorare al cerimoniale si becca 154mila euro l'anno. In totale fanno 4.624.614 euro all'anno.
Sindaco e assessori costano poi, secondo un rapporto Uil-Eures, 100mila euro ciascuno, contro i 93mila di Milano, i 92mila di Torino e i 72mila di Napoli. C'è poi l'Ipa, l'istituto di previdenza e assistenza per i dipendenti, un altro carrozzone che eroga stipendi lauti e consulenze molto ambite. Presidente e direttore, di nomina diretta del sindaco, starebbero pensando a informatizzare l'ente con un investimento di 5 milioni ignorando la possibilità di risparmiare utilizzando le non trascurabili strutture informatiche nonché il personale di Roma Capitale.
Altro esercito di paperoni al soldo del Campidoglio è quello degli avvocati: 23 toghe con stipendi tutti tra i 260mila e i 320mila euro, per un totale di 6 milioni e mezzo. Ed è vero che una voce importante in busta paga ce l'hanno le percentuali sulle cause vinte, ma andatelo a spiegare al cittadino alle prese ogni giorno con il bus che tarda o la spazzatura non raccolta. Demagogia? Sì, ma sacrosanta.
C'è poi la malagestione: ogni anno Roma Capitale incassa 27 milioni dagli affitti dei suoi 43mila immobili, peraltro con un tasso di morosità piuttosto alto, e ne spende circa 21 per affittare dai privati 4.801 appartamenti per l'emergenza abitativa. I conti non tornano.
Non va meglio con le municipalizzate. L'Atac, la società di trasporto pubblico, solo nei confronti dei fornitori vanta (si fa per dire) un debito di 519 milioni. Malgrado ciò centinaia di bus giacciono guasti nei depositi e qualunque passeggero ha la sua aneddotica di odissee urbane. E l'Ama? Dal 2009 è alle prese con gli interessi sul suo debito che ammonta a 600 milioni di euro. Non c'è da sorprendersi quindi se i cassonetti traboccano di spazzatura e i maiali grufolano tra la «monnezza».
Anche la tanto reclamizzata pedonalizzazione del Fori Imperiali, un flop inviso un po' a tutti, è costata ben 1,4 milioni. «La corsia preferenziale più costosa d'Italia», la definì un consigliere dell'opposizione.
Ci sono poi spese minori ma che infastidiscono. Suona ideologico, infatti, scegliere di non spendere 400 euro per i fiori destinati al monumento ai caduti di Nassiryia e poi destinarne 10mila per il funzionamento del Museo storico della Liberazione di via Tasso, come da delibera 413 del 4 dicembre scorso.
Non solo: Roma Capitale spende 658mila euro per aderire ad «associazioni di rilievo nazionale comunitario e internazionale». Certo, c'è l'Anci, la cui quota associativa è di 404mila euro (però!), ma c'è anche l'istituto Alcide Cervi di Reggio Emilia (12mila euro) e il criptico Cicu: comitato italiano delle città unite (14.283 euro). Boh.
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