La Corte dei conti chiede 119 milioni a Penati

L’affare Serravalle. Il prezzo d’acquisto fu sopravvalutato

L'ex presidente pd della Provincia di Milano Filippo Penati
L'ex presidente pd della Provincia di Milano Filippo Penati

Milano - «Per motivi allo stato ancora poco chiari»: è questo inciso, a pagina 74 del provvedimento della Corte dei conti della Lombardia sul «caso Penati», il passaggio più significativo e gravido di conseguenze per l'ex presidente Pd della Provincia di Milano. È l'atto con cui la magistratura contabile chiede a Penati e ai suoi complici di risarcire oltre 119 milioni di euro per la «scellerata» (così viene testualmente definita) acquisizione del 15 per cento dell'autostrada Serravalle. Il pacchetto di azioni fu pagato una cifra spropositata: questo, dicono i giudici, è accertato. Per coprire l'operazione venne falsificata la data della perizia dello studio Vitale che ne attestava la convenienza: e anche questo è accertato, grazie ad alcune mail interne allo studio Vitale scovate dalla Guardia di finanza. Ma perché tutto questo sia accaduto, ancora non si sa. Perché in un solo giorno, il 29 luglio 2005, Penati abbia voluto a tutti i costi accelerare l'operazione che avrebbe dissanguato la Provincia e riversato una montagna di 232 milioni di euro nelle casse del costruttore Marcellino Gavio, i giudici non lo hanno finora scoperto. Ma la partita non è chiusa, dice quell'inciso, «per motivi allo stato ancora poco chiari».

Il problema, per Penati e forse non solo per lui, è che il 29 luglio 2005 non è un giorno qualunque: e colloca definitivamente l'affare Serravalle nel cuore di un altro gigantesco business targato Ds, la scalata di Unipol alla Banca nazionale del Lavoro. È un intreccio che va letto alla luce della testimonianza di Renato Sarno, già «esattore» di Penati, riportata dai giudici della Corte dei conti: «Le esatte parole di Penati furono: io ho dovuto comprare le azioni di Gavio, non pensavo di spendere una cifra così consistente ma non potevo sottrarmi perché l'acquisto mi venne imposto dai vertici del partito nella persona di D'Alema». Il 17 luglio 2005 Giovanni Consorte, amministratore delegato di Unipol, dice a Fassino che la conquista di Bnl è cosa fatta. Il 19 luglio l'operazione viene annunciata pubblicamente. Il 3 agosto Gavio, versa 31 milioni alla Banca di Roma e 14 milioni alla Banca Popolare Italiana, ovvero la Popolare di Lodi di Gianpiero Fiorani, uno dei grandi alleati di Consorte della scalata a Unipol. Una estate bollente: nel pieno di quei giorni, il 29 luglio, Penati sgancia a Gavio 232 milioni per azioni che valevano, secondo i giudici, quasi cento milioni in meno.

Per la Corte dei Conti, «Penati nella propria posizione di vertice politico-rappresentativo dell'ente provinciale (...) ha ritenuto assolutamente necessario e prevalente l'interesse a concludere l accordo con il gruppo Gavio».

Secondo l'atto d'accusa, Penati era pienamente consapevole di pagare le azioni molto più di quanto valessero, e la perizia retrodatata di Vitale fu un alibi costruito a tavolino: «Proprio la falsificazione della data della consegna della perizia di Vitale è sintomatica del tentativo di dimostrare che il prezzo corrisposto a Gavio fosse stato condiviso e avallato da un qualificato advisor».

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