Roma - Il ricorso pende in Cassazione, e lo farà per un bel po', «di solito ci vogliono tre o quattro anni, la Cassazione ha tempi molto lunghi» spiega la professoressa Livia Salvini, legale del Gruppo Espresso. La sentenza contro cui la società dell'ingegner De Benedetti ha fatto ricorso è del maggio 2012, e in queste ore rimbalza sui blog di area centrodestra e sui social network, incandescenti dopo la condanna di Berlusconi (riaffiora anche la vicenda della casa ai Parioli comprata dal direttore di Repubblica Ezio Mauro dichiarandone solo una parte). Vediamo i fatti. La Commissione Tributaria regionale di Roma, nel 2012, ha condannato (sentenza n. 64/9/2012) il gruppo editoriale L'Espresso a pagare 225 milioni di euro, cioè il totale delle imposte non pagate dal Gruppo, secondo i giudici tributari, nel lontano 1991, all'epoca cioè della fusione dell'editoriale La Repubblica in vista della sua quotazione in Borsa.
Dopo un rilievo dell'Agenzia delle Entrate e un contenzioso (con ricorsi e controricorsi) finito in Cassazione e rinviato nuovamente alla Commissione Tributaria di Roma, è stato accertato che il Gruppo ha eluso il pagamento delle imposte su plusvalenze realizzate per una cifra pari a 454 miliardi di vecchie lire, 234 milioni di euro. Nella sanzione ci sono 13 miliardi (sempre lire) di costi dichiarati, all'epoca, come deducibile e non riconosciuti tali dal Fisco. Non basta, l'Espresso è stato condannato anche al pagamento monstre di spese di giudizio per complessivi 500mila euro. Tutti i pagamenti sono stati congelati perché un'altra sezione della Commissione tributaria ha accolto la richiesta di sospensione della riscossione avanzata dall'Espresso. Ciò però non significa che sia stata annullata la condanna, cosa che può fare solo la Cassazione, quando si esprimerà.
La vicenda è complessa e va avanti da quasi dieci anni. Le contestazioni iniziali mosse dall'Ufficio delle imposte dirette di Roma riguardavano un importo di oltre 700 miliardi di lire. Il Gruppo L'Espresso ha quindi impugnato le contestazioni, che si sono risolte favorevolmente per De Benedetti fino ai gradi di merito, ma ribaltate nel 2007 dalla Corte di Cassazione, che con le sentenze 20393 e 20394 ha cassato le decisioni della Commissione tributaria del Lazio, rinviando le cause ad altra sezione dello stessa commissione. Quella, appunto, che nel 2012 ha sanzionato l'Espresso. Il gruppo di De Benedetti avrebbe dunque ottenuto un enorme vantaggio fiscale da una serie di operazioni societarie, realizzando un'elusione fiscale da 234 milioni di euro. Un illecito tributario, non un reato penale, la questione penale si è risolta anni fa con l'assoluzione di tutti gli imputati perchè «il fatto non sussiste».
Il commento alla sentenza da parte del gruppo Espresso-Repubblica c'è stato, e anche molto duro: una sentenza «manifestamente infondata oltreché palesemente illegittima sotto numerosi aspetti di rito e di merito». Interessante il rilievo dell'avvocato Salvini, spesso ospite a Ballarò come esperta di tasse: «La sentenza si iscrive nel filone giurisprudenziale che rivendica all'Agenzia delle Entrate e ai giudici il potere di sindacare le scelte economiche e di strategia societaria» di un'azienda. Il giudice non ha voluto riconoscere la legittimità di una operazione societaria che comportava un vantaggio fiscale per l'Espresso, vedendoci invece una forma di evasione fiscale. La legale dell'Espresso parla di «abnormità di pronunce che pretendono di disconoscere i vantaggi fiscali».
Curiosamente, lo stesso rilievo dei ricorsi di Coppi e Ghedini sulla vicenda dei diritti Mediaset. Che però non si è risolta in un procedimento tributario per gli amministratori della società, ma in una condanna penale definitiva con interdizione dai pubblici uffici per un'azionista.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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