La dittatura trionfante dei moralisti della parola

La dottoressa Boccassini ha un amico potente nella sua crociata contro le civili libertà umane e la dignità delle persone e del linguaggio. È l'algoritmo

La dottoressa Boccassini ha un amico potente nella sua crociata contro le civili libertà umane e la dignità delle persone e del linguaggio. Non è la cimice ambientale. Non è l'intercettazione telefonica. Non è la criminalizzazione dei testi a difesa dell'imputato. È l'algoritmo. Oggi l'algoritmo bacchettone di Facebook, potente multinazionale della parola online, domani chissà. Infatti mi sono ritrovato censurato un editoriale del Foglio nel cui testo, come (dal suo titolo, usavo a proposito del matrimonio gay approvato dalla Corte suprema americana, con riserve tecniche pusille, la parodia della formula nuziale classica, «oggi sposi», trasformata nel politicamente scorretto «oggi froci». È questa peraltro una vecchia battuta bonaria del mio lessico familiare, che mia moglie Anselma Dell'Olio, americana e femminista, spiritosa e sboccata, libertaria e noncurante, si permette spesso di pronunciare impunemente tra persone cosiddette perbene, tra di esse qualche frocio e qualche lesbica, a commento del sentimentalismo da nozze gay, che lei detesta. Un siciliano investito dall'insulto: «puppo», mi raccontava il magico amico Pietrangelo Buttafuoco, rispose al malcapitato: «Barone mi dicesti». E per me è così. Ho le mie idee contrarie alla gay culture, il cui culmine è l'abrogazione della felice differenza, anche erotica o di stile di vita, approdata appunto alle nozze gay; e la parola «froci» riveste per me un significato liberatorio, irriducibile a ogni caratterizzazione insolente, visto che chiunque conosca me e quelli come me sa benissimo che di fronte a un greve uso del termine a scopo di diffamazione di un conoscente o di un amico o di un passante sconosciuto, prenderei a schiaffi chi ne è autore. Eppure, come per rispondere alla domanda del tipico fighetta d'oggi, che si interroga pensoso se il web renda liberi, un mostriciattolo orwelliano fa capolino nella multinazionale potente delle chattering classes, il circuito universale di quelli che chiacchierano, il social network. L'algoritmo può darci molto, può favorire l'intelligenza, ma in sé è totalmente cretino. È un idiot savant, uno scienziato pedante e talvolta utile che cerca nella media dei significati di guidarci tra i significati, ma manca del principio di individuazione, del tratto della personalità, che è la sede dell'intelligenza, della capacità morale degli uomini e delle donne, della loro anima individuale. Un algoritmo non sa nulla di mia moglie e di me, dei lettori del Foglio o del Giornale, del senso e del carattere di campagne o guerre culturali intorno a temi come il matrimonio, la famiglia, l'educazione dei figli, la libertà di amare senza trasformare sentimenti e desideri in diritti, che è un'auto-contraddizione bestiale. L'algoritmo non sa che sul Foglio una storica rubrica scritta da uno scrittore gay che si chiama Daniele Scalise aveva per titolo, appunto, «froci». E che quella rubrica era nata sul settimanale di sinistra intellettuale, l'Espresso, col titolo «gay». E che Scalise aveva volentieri rititolato così la sua rubrica nel passaggio a una testata meno onerata di obblighi ideologici. L'algoritmo sa un sacco di cose ed è utile, ma non conosce l'ironia, quel nascondimento che disvela significati profondi delle cose: e se «gay» è ortodosso secondo la cultura contemporanea e le sue regole, «frocio» è l'emancipazione ironica da un vecchio insulto, la sua evoluzione libertaria in diritto orgoglioso di dirsi come si è. Dipende naturalmente da come e dove venga usata, quella parola, dal contesto e dall'identità di chi la usi. Ma che ne sa l'algoritmo del contesto, che ne sa dell'identità di chi scrive e di chi legge? Niente. Tutti i giorni su Twitter ricevo quintalate di insulti osceni, roba che Enrico Mentana potrebbe esserne psicologicamente schiacciato, essendo un gentiluomo. Io no. Ho le spalle larghissime, e se mi danno di ciccione o di contenitore di m... liquida, e chiedo scusa degli eufemistici puntini, se mi invitano a uccidermi tra le più atroci sofferenze, se danno di p...ana alla memoria della mia mamma, che era una donna ironica, sono solo divertito e cerco di capire senza troppa amarezza, senza nemmeno credere alla perfidia o alla volgarità del mondo, di che pasta sono fatti questi simpatici e goffi importuni, e di rendergli a mio modo, cioè con ironia, la vita dura (per educarli, diciamo). Sarebbe tragico che un algoritmo impedisse a questi mezzi ubriaconi e giocherelloni di esprimersi, anche all'ombra dell'algoritmico anonimato, è una valvola di sfogo della violenza e della noia, della stupidità e della maleducazione, uno dei veri mestieri o addirittura una delle missioni dei social network. Teniamoci stretti i nostri giornali, però, che difendono la libertà con la parola démodé, i caratteri cubitali dei titoli, i testi spesso pieni di sottigliezze, i nostri giornali che riscattano dalla censura algoritmica un secolo che si annuncia e già si manifesta come pericoloso. Almeno, pericoloso per generazioni di umani ai quali piace vivere liberi.

Sopra tutto, liberi dal pregiudizio che si veste di toghe e di algoritmi con una impressionante progressione e facilità. Ho già detto con ironia che siamo tutti puttane, e sebbene Facebook censuri questa espressione, devo aggiungere da liberale che siamo tutti froci.

 

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