Più Europa o addio euro Così a pagare sarà Berlino

L’ipotesi di uscire dalla moneta unica è l’arma dei Paesi più deboli per piegare le resistenze della Germania sul ruolo "attivo" della Bce

Più Europa o addio euro Così a pagare sarà Berlino

Come volevasi dimostrare: quello che è successo il pomeriggio del 26 luglio, con Mario Draghi a tutto campo in un convegno a Londra, è molto chiaro, fin troppo: per la prima volta la Bce ha fatto, anche se solo a parole, il suo mestiere di banca centrale. E l'effetto è stato immediato: 62 punti di spread in meno in 2 giorni. È quanto andiamo dicendo da sempre (quella dei mercati è solo speculazione; gli investitori sono reattivi solo alle azioni e alle strategie della Bce; quello che fanno gli Stati sotto pressione speculativa conta poco o nulla); ma è soprattutto la dimostrazione della follia, della stupidità, della dabbenaggine di quanto è accaduto in Europa nell'ultimo anno, della teoria dei compiti a casa, delle misure sangue, sudore e lacrime, del presunto miracolo dei governi tecnici.
Tutto affonda le basi nell'architettura imperfetta della moneta unica, da cui sono derivati comportamenti opportunistici sia da parte dei Paesi più deboli sia da parte dei Paesi virtuosi, ma questo è andato oltre il livello di guardia, portando la Germania a segare il ramo dell'albero su cui siede (ne è chiara conseguenza la revisione a ribasso, ad opera di Moody's del rating sulle prospettive dell'economia tedesca) e spingendo il presidente della Bce a reagire a una situazione che cominciava a sfuggire di mano.
Il pomeriggio londinese del 26 luglio ha dimostrato come l'unico vero leader in Europa sia Mario Draghi mentre gli altri attuali capi di governo non sono stati in grado di svelare da subito l'imbroglio degli spread, che solo per 2/5 è dipeso (e dipende ancora) dalle politiche economiche dei singoli Stati mentre per gli altri 3/5 è collegato alla mancanza di decisioni (e istituzioni) forti in Europa.
Fino a oggi, l'atteggiamento miope ed egoistico della Germania, che ha usato lo spread per imporre misure di rigore agli Stati più deboli dell'Eurozona, ha prodotto l'effetto inverso a quello desiderato, generando recessione a catena in tutta Europa.
La Commissione europea non è stata da meno. Forte con i deboli e debole con i forti. Piuttosto che svolgere il proprio ruolo istituzionale, la Commissione di Barroso ha ceduto di fatto la propria sovranità allo Stato tedesco.
Occorre dire basta. Basta con atteggiamenti logoranti e ansiogeni, basta con le corse all'impazzata verso il precipizio con frenata a l'ultimo millimetro dal baratro. Giochi pericolosi, tuttora in corso.
Con le dichiarazioni del 26 luglio, il presidente della Bce si è impegnato a fare tutto il necessario per preservare l'euro, nell'ambito del proprio mandato, e ha garantito che sarà sufficiente. Da una lettura attenta delle regole di funzionamento della Bce emerge che in periodi di eccezionali tensioni sui mercati finanziari essa può ricorrere a strumenti straordinari, che siano indispensabili per continuare a conseguire i propri obiettivi di stabilità dei prezzi e di sostegno alle politiche economiche generali dell'Unione. Tra questi, la Bce può intervenire sui mercati dei titoli di debito dei settori pubblico e privato dell'area dell'euro. Insomma, la Banca centrale europea può fare molto, più di quanto si creda, ma purché sia supportata dalla politica e dalle istituzioni e purché il messaggio sia trasmesso chiaramente ai mercati.
La presa di posizione di Mario Draghi del 26 luglio è sicuramente un ottimo segnale, ma ad essa dovranno seguire azioni istituzionali, in sede europea, concrete, determinate, strutturali, non più ondivaghe. Grande stima per le dichiarazioni di Draghi, dunque, ma non basta la sua buona volontà. Perché il presidente della Bce non ha detto chiaramente quali misure intende adottare per difendere l'euro? Perché non ci ha detto con precisione quando e per quanto tempo queste saranno implementate? Quanto invece ai tassi di interesse, perché la Federal Reserve ha annunciato già nel primo trimestre del 2012 che essi rimarranno invariati all'attuale 0,25% fino al 2014, mentre in Europa fino alla conclusione delle riunioni mensili (blindate) del consiglio direttivo della Bce non si sa mai quale sarà il tasso ufficiale di riferimento?
Ancora una volta, la Banca centrale europea ha molto da imparare dalla Federal Reserve americana, che ha fatto della comunicazione e della trasparenza il proprio punto di forza, la novità rivoluzionaria del mandato di Ben Bernanke: condivisione delle informazioni, delle decisioni e delle strategie di lungo periodo. La trasparenza rende la politica monetaria della banca centrale più comprensibile al pubblico e, pertanto, più credibile ed efficace. Ciò consente di accelerare il processo di trasmissione della politica monetaria alle decisioni dei governi e alle scelte di investimento e di consumo delle imprese e dei cittadini. Si avvia così un circolo virtuoso che è l'esatto contrario di quanto avvenuto da un anno fa ad oggi. Significa rispondere alla speculazione puntando contro di essa le sue stesse armi, significa usare a nostro favore la stessa strategia che finora la speculazione ha usato contro di noi.
Come abbiamo visto, dal punto di vista delle azioni politiche la soluzione è lì a portata di mano. Già scritta. È contenuta nel report Verso una vera unione economica e monetaria, presentato dai presidenti Herman Van Rompuy, José Manuel Barroso, Jean-Claude Juncker e Mario Draghi ai capi di Stato e di governo riuniti a Bruxelles il 28-29 giugno. Il report propone una visione di lungo periodo per l'Europa basata su quattro pilastri fondamentali: unione bancaria; unione fiscale; unione economica; unione politica.
A tutto ciò dovrà aggiungersi l'attribuzione alla Banca centrale europea, attraverso opportune modifiche dei Trattati, di un nuovo mandato che preveda il ruolo di prestatore di ultima istanza, al pari delle altre banche centrali (inglese, svizzera, giapponese) e in particolare della Federal Reserve americana.
In mancanza di risposte concrete, invece, per i paesi sotto attacco speculativo diventerà sempre più necessario iniziare a valutare la possibilità di un'uscita volontaria dall'euro. Si tratta di un'opzione di cui si è parlato troppo poco, che si è spesso demonizzata, che mai è stata messa nel novero delle soluzioni razionali alla crisi, ma che deve iniziare, invece, ad essere presa in considerazione, anche come strumento di pressione negoziale, per acquisire consapevolezza dell'urgenza di prendere le decisioni più sagge: più Europa e più solidarietà. Subito. Altrimenti meglio uscire. E a pagare il conto più salato sarebbe la Germania e i paesi del nord.
Un'analisi costi-benefici di tale ipotesi non è un invito ai paesi dell'area euro, soprattutto i più deboli, sotto attacco speculativo, ad abbandonare la moneta unica, bensì uno stimolo per i leader europei a considerare anche quest'ultima opzione, sia pur semplicemente come arma negoziale. In tal modo, la consapevolezza dello scenario della fine dell'euro diventa dunque elemento di serietà e di responsabilità per prendere in queste ore e in questi giorni le decisioni necessarie e giuste.
Agosto sarà il mese cruciale in cui o non succederà niente, in attesa della decisione della Corte Costituzionale tedesca, il 12 settembre, sul fiscal compact e sull'Esm, oppure succederà tutto, vale a dire l'implosione dell'euro, e non dovremo più attendere nulla. Per adesso l'appuntamento è alla riunione del Consiglio direttivo della Bce del 2 agosto. Riunione in cui prevarrà la linea Draghi del fare di tutto, con relative innovazioni e forzature statutarie oppure, dopo aspro dibattito, finirà per prevalere il solito compromesso di dare mandato temporaneo alla Bce di comprare sul mercato secondario titoli di Stato dei paesi sotto pressione, con relativa calma apparente sui mercati, in preparazione della tempesta perfetta, che potrebbe scatenarsi con le prime significative aste sul mercato primario.

Nel frattempo recessione, pessimismo, calo dei consumi, angoscia. Ma questo poco importa ai falchi dell'eurozona. E a poco serviranno le pressioni americane. In fondo, è tutto così chiaro, così facile. O banalmente tragico.

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