I magistrati scomunicano Ingroia: "La Consulta non si attacca"

L'affondo di Ingroia: "Sentenza politica". Coro di critiche da Anm e Csm. Violante: "Certe toghe hanno perso lucidità"

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ed il il vicepresidente del Csm Michele Vietti
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ed il il vicepresidente del Csm Michele Vietti

Roma - Com'era quella storia, ripetuta a litania dalle toghe, lesentenzenonsicommentanolesentenzenonsonopolitiche?
Ecco, si vede che in Guatemala l'aria è diversa, perché il pm Antonio Ingroia (nel tondo) non la pensa più così, quando le sentenze lo sconfessano direttamente. Quella della Consulta sulle intercettazioni del Colle la definisce «bizzarra» e «paradossale», per usare gli aggettivi più soft. «Punitiva» e «politica», per usare quelli più forti.
Dopo il verdetto che ha bocciato la linea della Procura siciliana ordinando la distruzione dei file, il magistrato in missione dell'Onu in Centroamerica dice: «Le ragioni della politica hanno prevalso su quelle del diritto. La Corte non aveva altra via d'uscita che dare ragione al Presidente della Repubblica. Le sue decisioni sono condizionate in maniera eccessiva dal clima politico». E ancora: «Ha fatto un grosso passo indietro. Non si è accontentata di dar ragione al Quirinale ma ha voluto dare anche una bacchettata alla Procura di Palermo».
Una sfilza di attacchi così, a parti invertite, avrebbe provocato nel campione dei pm vibrate proteste e appelli in nome dell'autonomia e dell'indipendenza delle toghe. Qui si tratta dei «giudici delle leggi» e il rispetto invece di rafforzarsi si affievolisce. Ma Ingroia, ormai abituato a quotidiani dibattiti politici (oggi sarà ospite di Servizio pubblico, ndr), proprio non vuole trattenere la rabbia.
E provoca imbarazzo in tutta la categoria, che certe prese di posizione sulle sentenze «sacre» non le può rinnegare. Così, il suo capo alla Procura di Palermo, Francesco Messineo, si affretta a prendere le distanze dall'aggiunto, assicurando che le indicazioni della Consulta saranno eseguite appena si conosceranno le motivazioni: «Le opinioni del dottor Ingroia sono opinioni del dottor Ingroia. Io non qualifico le sentenze, sono atti di giustizia e come tali vanno accolte, rispettate ed eseguite».
Il secondo a rinnegarlo è il presidente dell'Anm, Rodolfo Sabelli, che raccomanda di evitare strumentalizzazioni della vicenda: «Attribuire alla decisione del massimo organo di garanzia costituzionale un significato politico è impossibile e del tutto fuori luogo».
La sconfessione numero tre è forse la più pesante, perché viene da Michele Vietti, vicepresidente del Csm al cui vertice siede Giorgio Napolitano: «La Corte costituzionale è una delle massime istituzioni della Repubblica, la sua autonomia e indipendenza non possono essere messe in discussione da nessuno. In particolare, da chi ricopre incarichi pubblici».
Il pm si ritrova difeso da un gruppetto misto, da Antonio Di Pietro a Oliviero Diliberto, da Paolo Ferrero al sindaco di Napoli Luigi De Magistris.
Tutti gli altri sparano contro di lui, almeno per non rinnegare se stessi. Particolarmente sonoro è lo schiaffo di Luciano Violante, una volta punto di riferimento delle toghe rosse ma ora su posizioni ben più istituzionali. Parla di eccesso di personalizzazione delle indagini, dice che «certe toghe hanno perso lucidità» e che «si è voluto andare sopra le righe».
Critiche al pm vengono dai vertici di Parlamento e governo. Il presidente della Camera Gianfranco Fini ce l'ha proprio con lui: «Come tutte le sentenze – dice il leader Fli – si rispetta e non si commenta. Ha sbagliato chi l'ha fatto, soprattutto chi dice che è una sentenza politica». E il ministro dell'Interno Annamaria Cancellieri dice di essere molto contenta per questa sentenza «molto bella e molto attesa». Che proprio Ingroia parli di decisione politica è «stupefacente», commenta il presidente dei penalisti, Valerio Spigarelli, lui che «svolge un ruolo politico a tutto tondo». Dal Pd al Pdl è un coro di rimproveri. Ma Alfredo Mantovano avverte: «Ora Ingroia potrà recitare la parte che gli riesce meglio: quella di vittima dei potenti».


Il caso davanti alla Consulta viene sollevato dal Quirinale il 16 luglio scorso. I pm di Palermo, intercettando Nicola Mancino, hanno spiato 4 colloqui col presidente Napolitano. «Vanno distrutti», dice il Colle. Ma la Procura dice no

Martedì 4

dicembre il verdetto unanime della Corte costituzionale: il ricorso di Napolitano viene accolto integralmente, quelle intercettazioni vanno distrutte. Le motivazioni del verdetto saranno depositate prima del prossimo 27 gennaio

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