Roma «L'agenda Monti è l'agenda del Paese, se non teniamo fede a questi impegni, al rigoroso controllo dei conti pubblici, siamo finiti» ammoniva due mesi fa il presidente dell'Abi ed ex presidente di Monte dei Paschi (oltreché finanziatore del Pd di Siena, 680mila euro in dieci anni), Giuseppe Mussari. In quell'agenda è rientrato anche il salvataggio pubblico di Mps, attraverso un prestito dello Stato di 3,9 miliardi di euro sotto forma di obbligazioni (Monti bond). Un provvidenziale aiuto governativo, dossier curato dal ministro dell'Economia Vittorio Grilli (sullo sblocco dei bond per il Mps «spero di arrivare presto a una conclusione positiva» promise, precisando che però «non c'è una ipotesi di ingresso del Tesoro» nel capitale della banca), ministro che ha convinto la Commissione Ue, inizialmente diffidente sugli aiuti di Stato alla banca senese (come pure la Bce di Draghi), a sbloccare il superfinanziamento pubblico dei Monti bond, materializzatosi con un emendamento del governo alla legge di stabilità di fine anno. In altre parole, proprio mentre gli italiani versavano il pesante saldo Imu, le casse dello Stato riversavano - per volontà del governo - 3,9 miliardi a Monte dei Paschi, cifra che coincide con l'ammontare dell'Imu sulla prima casa. Significa che il pensionato che ha sborsato centinaia di euro ha finanziato, senza saperlo, i banchieri di Monte dei Paschi e le loro operazioni di ingegneria finanziaria coi derivati? Direttamente no, ovvio, ma indirettamente è così. Con quel decreto del Consiglio dei ministri che dava l'ok alla modifica dei Monti bond apposta per Mps, preparato da Grilli e pubblicato in Gazzetta ufficiale l'11 dicembre, veniva sancito che alla banca andavano quasi 4 miliardi di euro, e che lo Stato poteva anche essere rimborsato, se Mps fosse andata in rosso (cosa piuttosto probabile visto che Mps ha chiuso il primo semestre 2012 con un buco di 1,617 miliardi), non in contanti ma anche in azioni della banca stessa o in nuove obbligazioni. In sostanza, miliardi in cambio di carta. Da una banca, poi, inserita in un sistema chiuso di affari-finanza-politica (Pd, partito unico a Siena dove le porte tra Mps e istituzioni sono girevoli), una galassia che il Financial Times ha riassunto così: «Un semplice scambiarsi soldi tra amici». Che tra questi amici vada messa anche una parte del governo Monti, è la convinzione ad esempio della Lega Nord, la prima a segnalare, col deputato Fava e il senatore Garavaglia, la strana urgenza del governo di ricapitalizzare, di fatto, Mps coi soldi pubblici, proprio mentre raccomandava agli italiani di non dolersi del carico Imu, perché quel loro sacrificio serviva a «salvare l'Italia dal baratro della Grecia», medaglia al petto del governo Monti.
La domanda, dopo lo scandalo dei derivati e le dimissioni di Mussari, è inevitabile: possibile che nel governo nessuno sapesse cosa succedeva dentro Mps, visto che si apprestavano a staccargli un assegno da 3,9 miliardi? Tra l'altro, Monte dei Paschi è al centro di un'indagine della Procura di Siena per l'acquisizione di Antonveneta nel 2007, pagata qualcosa come 1,5 miliardi in più del suo valore. Ebbene, nell'ambito di quell'inchiesta (indagato Mussari) molti sono stati sentiti dai pm, come persone informate dei fatti dai pm. Tra questi, il ministro Grilli, all'epoca direttore generale del Tesoro, e anche un'altra montiana doc, l'attuale presidente Rai Anna Maria Tarantola, allora funzionario generale della Banca d'Italia. Ma nessun sentore di bruciato. Tant'è che ieri Bankitalia ha precisato come «la vera natura di alcune operazioni riguardanti il Monte dei Paschi» sia emersa «solo di recente».
Altri membri del governo, interrogati alla Camera, hanno sempre difeso il salvataggio di Mps, o hanno risposto - come la Fornero - di non conoscerne la vicenda finanziaria. Un brutto risveglio, dopo avergli prestato quasi 4 miliardi pubblici.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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