E il premier prova a prendersi anche "l'Unità"

Il quotidiano è in liquidazione, il tesoriere del Pd è a caccia di investitori amici

E il premier prova a prendersi anche "l'Unità"

Primo paradosso: alla storica vetta di voti del Pd corrisponde un baratro vertiginoso del quotidiano organo del Pd, l'Unità. Secondo paradosso: il segretario del Pd ha dalla sua molti giornali, ma non l'azionista di maggioranza del «suo» quotidiano. Matteo Fago, ex creatore di Venere.com il portale delle prenotazioni online (venduto per qualcosa come 200 milioni di euro), ha il 51% della Nie (Nuova Iniziativa editoriale, società editrice dell'Unità) ma di Renzi ha detto: «Non lo voterò mai». Si dice sia di area Sel-Tsipras, sicuramente è un «fagiolino», cioè un allievo del discusso psicoanalista-guru Massimo Fagioli, già vicino a Bertinotti (o viceversa), e che alle ultime primarie votò Civati. Finora la contraddizione era filata via, ma ora c'è un problema grosso: il giornale va male, le copie vendute sono scese sotto le 20mila, ed è finita che la società è stata messa in liquidazione. Renzi, cosa vuole fare? La pratica è in mano a Francesco Bonifazi, tesoriere del Pd, che si è impegnato a «individuare una soluzione urgente e solida» per la crisi dell'Unità, mentre Renzi stesso ha parlato del «brand» Unità da tutelare, evitando però «di avere due giornali diversi», Unità e poi Europa, altro quotidiano organo del Pd, che come tale riceve i finanziamenti pubblici all'editoria. Dunque il Pd, che detiene una piccola quota dell'Unità, cerca nuovi investitori e anche un nuovo modello. Complicato immaginare la fusione delle due testate, più semplice una divisione di ruoli: all'Unità quello di quotidiano cartaceo, come testata storica della sinistra, a Europa l'online.

Ma il punto resta un altro: con i soldi di chi? L'antirenziano Fago non sembra intenzionato a mollare il giornale, tutt'altro. «È mio intendimento riportare l'Unità ad essere il punto di riferimento politico e culturale della sinistra italiana, nelle sue diverse componenti, così come era nel progetto del suo fondatore, Antonio Gramsci, 90 anni fa» ha spiegato l'imprenditore-editore. Dunque, se i soldi saranno i suoi l'Unità non sarà un giornale vicino a Renzi. Ma si parla anche di un interesse di Massimo Pessina, capo della Pessina Costruzioni Spa, che invece sarebbe - da voci di redazione - più di area Pd renziana. Altre quote dell'Unità le hanno Maurizio Mian (18%), eclettico rampollo dell'impero farmaceutico della famiglia Gentili, poi ancora il 14% all'ex editore Renato Soru oggi europarlamentare Pd, e quindi altre quote minori. Se a rilevare l'Unità in liquidazione sarà una società capitanata da Fago insieme magari a Pessina, oppure un'altra compagine imprenditoriale, nessuno all'Unità ancora l'ha capito. «Finora non abbiamo avuto risposte su nulla» dicono dal Cdr del giornale, che ha già fatto quattro scioperi e ne prepara un quinto, visto che l'ultimo stipendio pagato è quello di aprile (con un mese di ritardo). Si attendono segnali anche dal Pd, e da Renzi, che certo «non è cresciuto a pane e Unità», ma sembra intenzionato a mantenere in piedi la testata storica del Pd. Cambiandone i connotati, magari, e inserendo alla direzione giornalisti a lui più vicini. I nomi che girano sono quelli di Stefano Menichini, attuale direttore di Europa, e della retroscenista del Corriere Maria Teresa Meli.

Futuro incerto, mentre dal blog Grillo suona le campane a morto: «L'Unità chiude. Un'ottima notizia per un Paese semilibero per la libertà di informazione come l'Italia. Meno giornali significa infatti più informazione. Unitàstaiserena». Mica tanto.

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