«La legge dice che c'è il canone ordinario ma anche il canone speciale, la Rai sta solamente applicando la legge». La risposta dei consiglieri di amministrazione - quelli che rispondono - di fronte alle polemiche sui 407 euro chiesti ad artigiani e imprenditori, è sempre questa. La tv pubblica, colpita dal taglio di 150 milioni di euro deciso dal governo, è a caccia di nuove fonti di ricavo. Le strade non sono molte con gli introiti pubblicitari al ribasso. Si possono vendere pezzi di azienda (come le quote di RaiWay) oppure aumentare gli incassi da canone. Mentre si studiano formule per recuperare quello domestico (farlo pagare nella bolletta elettrica), la Rai è passata all'attacco sull'altro fronte, quello del canone «non domestico», per chi ha in ufficio o in azienda o in negozio un «apparecchio atto o adattabile alla ricezione delle trasmissioni radio televisive, quindi munite di sintonizzatore, in esercizi pubblici o comunque fuori dell'ambito familiare». È per questo che sono partiti a raffica migliaia (decine di migliaia? quanti?) di bollettini indirizzati ai titolari di attività iscritte alle Camere di commercio nazionali, da cui ci si attende un recupero attorno ai 100 milioni. I consiglieri del Cda Rai non sembrano saperne nulla, e rimandano la palla alla direzione generale, o alla legge. «Non si è mai parlato in consiglio di questo invio di lettere - ci racconta un consigliere che non vuole essere citato - perché la vostra inchiesta è iniziata successivamente all'ultima nostra riunione. Nella prossima ne parleremo certamente e mi riprometto di chiedere informazioni al direttore generale Gubitosi. A occhio c'è da capire cosa voglia dire sintonizzatore, capire cioè se è una funzione presente nella maggioranza dei computer o degli schermi, o se invece è una dotazione residuale».
Ma nel frattempo, in attesa che i consiglieri chiedano lumi alla direzione generale, chi riceve la lettera della Rai cosa deve fare? Neppure questa è una domanda che sembra competere ai consiglieri, impegnati piuttosto a tutelare gli interessi dell'azienda facendo valere le leggi, anche le più discutibili e odiose, come quella del 1938 sul canone Rai riaggiornata nel 2012 con una circolare del ministero dello Sviluppo economico che circoscrive l'obbligo del canone speciale agli apparecchi dotati di «sintonizzatore radiotelevisivo» (comunque un'infinità). Anche per il consigliere Luisa Todini, che viene dal mondo dell'impresa, la «legge è legge» e dunque si paga: «Da tempo la Rai sta affrontano con il governo il tema dell'evasione del canone (circa il 30%, circa 500 milioni di euro) - spiega la Todini - il canone Rai è tra i più bassi dei broadcaster europei, pur avendo lo share tra i più alti. Detto questo bisogna riformare la riscossione del canone nell'ottica di una riforma che porti la Rai ad avere canali solo di servizio pubblico finanziati dal canone, e canali finanziati solo dalla pubblicità. Ma finché non si cambia il perimetro legislativo, la legge è legge, e dunque il canone speciale si deve pagare!».
I due consiglieri in quota centrosinistra, l'ex magistrato Gherardo Colombo e la giornalista radiofonica Benedetta Tobagi, preferiscono non prendere posizione sulla vicenda del canone speciale e sull'ira delle partite Iva e imprenditori che lo stanno ricevendo. Rodolfo De Laurentiis, consigliere nominato in quota Udc ed oggi anche presidente di Confindustria Radio Tv, la prende da più lontano: «Tutto il tema generale della riscossione del canone va rivisto, la Rai sconta un'evasione altissima. E tra questa c'è certamente anche l'evasione del canone speciale». Dunque chi deve pagare, paghi (ma chi?).
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