Ecco il piano segreto di Renzi: prendersi il Pd al prossimo giro

Il sindaco rottamatore aspetta nell'ombra ma boccia subito l'ipotesi di un accordo Pd-Cinque stelle. Senza un passo indietro di Bersani è pronto a lanciare un suo movimento

Ecco il piano segreto di Renzi: prendersi il Pd al prossimo giro

Sul fatto che con Matteo Renzi le cose, per il Pd e per l'Italia, sarebbero andare in tutt'altro modo concordano ormai tutti, compresa la maggioranza del gruppo dirigente democrat. Sarebbe bastato consentire di votare al secondo turno delle primarie a tutti coloro che lo avevano chiesto, anziché cacciarli dai gazebo a colpi di regolamento, e oggi l'Italia avrebbe un governo. Ma col senno di poi non si fa la politica, e forse neppure la storia: Bersani ha condotto la sinistra alla più clamorosa sconfitta dal dopoguerra, e qui oggi stiamo: con il Movimento 5 Stelle primo partito alla Camera e nessun governo all'orizzonte del Senato.

Guardiamo dunque al futuro: Renzi sarà il prossimo candidato premier della sinistra, quando (molto rapidamente, a detta di tutti gli osservatori) si tornerà a votare? Oppure la Caporetto del Pd ha trascinato con sé anche il sindaco di Firenze, rendendolo inservibile come un qualsiasi bersaniano?
In questi primi giorni seguiti alle elezioni, Renzi si è sforzato in tutti i modi di restare zitto. Qualche battuta è trapelata sui giornali, utile più a disegnare uno stato d'animo comprensibilmente depresso che una linea politica per il futuro («Siamo alla follia» è stato il suo commento all'improvvisata e rovinosa apertura di Bersani a Grillo). Il silenzio formale, però, è già un primo segnale. E un secondo è venuto martedì, quando il sindaco di Firenze ha cortesemente declinato l'invito di Errani a partecipare ad un vertice di capicorrente: «Non partecipo ai caminetti». Il terzo segnale è l'intervista a Repubblica di Graziano Delrio, sindaco di Reggio Emilia e renziano della prima ora: «Sono tra quelli che pensano non sia utile interrogarsi su come sarebbe andata se a vincere le primarie fosse stato Matteo - premette - Però se il Pd gli chiederà di scendere in campo, lui ci sarà».
Dalla sconfitta alle primarie in poi (anzi, per essere precisi, già all'indomani del primo turno), Renzi ha scelto con nettezza una linea «entrista»: ha scelto cioè di stare nel Pd, difendere il Pd, condividere le scelte del Pd, così da scacciare l'immagine diffamante che Bersani e gli altri oligarchi gli avevano cucito addosso, quella cioè del berlusconiano infiltrato. È per questo che Renzi ha diligentemente obbedito al momento della formazione delle liste, non chiedendo pressoché nulla, e ha poi partecipato, comprensibilmente senza troppo entusiasmo, alla campagna elettorale della rancorosa macchina da guerra. Persino D'Alema si era complimentato con lui: Renzi è un bravo ragazzo, ha detto una sera a Otto e mezzo, e chinando il capo «ha dimostrato di avere la maturità del leader politico».

Ora però lo scenario è cambiato. La coalizione bersaniana ha preso un punto in meno del Fronte popolare di Togliatti, e il Pd è visto come uno strumento ormai inservibile. Prenderlo in mano adesso - c'è chi lo vorrebbe segretario subito - è un suicidio che lo scaltro Renzi non compirebbe mai, tanto più che non ha mai ambito a quella carica. Il sindaco di Firenze si è ritagliato nel tempo il ruolo di candidato premier, non di funzionario di partito, e non intende certo rinunciarvi oggi.
Matteo, dunque, aspetta. E lascia aperti almeno due scenari. Nel primo, Bersani prima o poi si rende conto di quel che ha fatto, rassegna le dimissioni e il Pd si elegge un nuovo segretario (si parla da tempo di Fabrizio Barca o di Andrea Orlando). Quando bisognerà scegliere il candidato premier, quando cioè questa legislatura comincerà a inabissarsi, il «nuovo Pd» incoronerà con le primarie - questa volta aperte a tutti - il sindaco di Firenze. E si andrà a nuove elezioni.

Ma c'è un secondo scenario. Bersani potrebbe rifiutarsi di compiere il necessario passo indietro, sostenuto da quel giovane gruppo dirigente di cooptati che in questi ultimi due anni ha occupato ogni spazio di potere all'interno del Pd, e che verrebbe inesorabilmente spazzato via dal nuovo corso. Non solo: col passare del tempo, il Pd rischia di apparire sempre più come una bad company zavorrata da un deficit politico esorbitante. Del resto, come ha felicemente detto Monti, è un partito nato nel 1921, e qualche acciacco è inevitabile. Ma se il Pd è inservibile, Renzi dovrà costruirsi prima o poi un nuovo contenitore.

Trasversale, riformista, liberale, aperto a tutti gli italiani di destra e di sinistra che vogliono chiudere con la Seconda repubblica senza affidare l'Italia a Beppe Grillo. Molte cose devono ancora succedere (anche nel Pdl), ma di questi tempi le cose accadono in fretta. E a Firenze si stanno preparando.

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